L’influenza delle pratiche HR orientate al genere femminile sulla generazione di capitale intellettuale aziendale

Obiettivo di questo studio è comprendere se e in che misura le iniziative volte a favorire il coinvolgimento delle donne nell’ambiente lavorativo abbiano un impatto sulla generazione di Capitale Intellettuale dell’azienda. Scomponendo il costrutto di valore aggiunto del capitale intellettuale (Value-Added Intellectual Capital – VAIC) in efficienza di capitale umano, efficienza di capitale strutturale ed efficienza del capitale impiegato, i nostri risultati rivelano che le pratiche HR che promuovono la diversità di genere migliorano l’efficienza del capitale strutturale. Al contrario, le pratiche legate a sviluppo e training riducono l’efficienza del capitale impiegato.

Introduzione

Nel contesto attuale, la gestione della diversità si configura come un aspetto fondamentale per raggiungere la parità di genere e promuovere l’empowerment delle donne, con notevoli implicazioni in termini di sostenibilità del vantaggio competitivo. Alla luce di ciò, l’analisi dell’impatto che le pratiche volte a favorire la diversità di genere esercitano su performance finanziarie e competitività aziendali è stato progressivamente approfondito come elemento chiave nella creazione e mantenimento del vantaggio competitivo e della profittabilità (Özbilgin et al., 2016). La letteratura ha infatti individuato diversi benefici connessi all’adozione di politiche atte a favorire il coinvolgimento femminile nell’ambiente lavorativo, tra cui un incremento della produttività e della creatività, una riduzione dell’assenteismo, un miglioramento delle interazioni e un rafforzamento della reputazione aziendale. È in questo scenario che si inseriscono gli studi aventi ad oggetto la relazione tra diversità di genere e capitale intellettuale, le cui principali evidenze empiriche mostrano come la gestione della diversità possa contribuire allo sviluppo del capitale intellettuale e all’ottimizzazione dell’efficienza aziendale (Jelinkova, 2015). In particolare, gli studiosi stanno sempre più sottolineando come un maggiore coinvolgimento femminile possa potenziare la capacità dell’azienda di utilizzare efficacemente il proprio capitale intellettuale per generare valore, grazie ad una serie di caratteristiche che contraddistinguono le donne specialmente sotto il profilo relazionale e comunicativo. Diversi studi hanno infatti mostrato che vi sono tratti cognitivi distintivi tipicamente associati alle donne rispetto al genere maschile, come apertura al prossimo, empatia, trasparenza, abilità comunicative e capacità relazionali (Shahzad et al., 2019), il cui effetto sull’efficienza gestionale costituisce la premessa logica degli studi che collegano l’adozione di pratiche di gestione delle risorse umane volte a favorire la diversità di genere agli esiti organizzativi. Tra queste, in particolare, rientrano politiche di assunzione equa e aperta, coinvolgimento dei dipendenti, formazione e sviluppo continui, promozione dell’uguaglianza e coinvolgimento di una forza lavoro diversificata, nonché l’implementazione di misure di lavoro flessibile e la promozione di un equilibrio tra lavoro e vita privata. Tuttavia, benchè l’importanza di tali molteplici pratiche sia ampiamente riconosciuta come una fonte cruciale di vantaggio competitivo, vi è una notevole lacuna di conoscenza riguardo a come le politiche delle risorse umane indirizzate alle dipendenti donne possano influenzare le performance e la competitività delle aziende, specialmente in termini di sviluppo del capitale intellettuale. Per colmare questa lacuna, questo studio si unisce al filone di ricerca che analizza il valore aggiunto del capitale intellettuale (VAIC), approfondendone i meccanismi di creazione e gestione a lungo termine (Pulic, 2000). Dal punto di vista concettuale, il framework adottato nel presente lavoro propone una prospettiva basata sul ciclo di vita del dipendente, con l’intento di analizzare l’effetto delle politiche di gestione delle risorse umane orientate alle donne in un’ottica evolutiva e dinamica. Si suggeriscono a tal proposito tre leve principali, ossia:

  • la selezione, in cui si promuove un ambiente di lavoro equo e inclusivo;
  • lo sviluppo e formazione, attività dunque mirate a potenziare le capacità e il coinvolgimento delle dipendenti;
  • la “retention”, leva che include misure volte a mitigare il turnover e a favorire l’equilibrio fra lavoro e vita privata

La domanda di ricerca cui questo studio intende dare una risposta è pertanto la seguente: Qual è l’impatto sul capitale intellettuale dell’azienda delle pratiche HR lungo il ciclo di vita della dipendente?

Nel corso di questo studio, ci basiamo su precedenti spunti di ricerca che suggerivano che le diverse dimensioni del VAIC, ovvero l’efficienza del capitale impiegato, l’efficienza del capitale umano e l’efficienza del capitale strutturale, dovrebbero essere esaminate separatamente, in quanto potrebbero essere influenzate in modo differente dalle pratiche HR oggetto d’indagine. Pertanto, suggeriamo che l’estensione del coinvolgimento femminile in azienda possa incidere in modi eterogenei sulle tre componenti del VAIC (Nadeem et al., 2019; Nicolò et al., 2022).

Questa ricerca contribuisce in maniera significativa al dibattito sull’importanza della diversità di genere come driver di competitività aziendale, adottando un approccio dinamico e multidimensionale e suggerendo che l’intensità con cui le diverse politiche delle risorse umane orientate al genere femminile migliorano il capitale intellettuale dell’azienda sia strettamente connessa al ciclo di vita della risorsa.

Metodologia

Lo studio si basa su un dataset panel composto da 70 osservazioni in un periodo di due anni (2018-2019), relative a 35 imprese italiane quotate.

In linea con il quadro concettuale, il VAIC è stato suddiviso nei suoi componenti finanziari ed intellettuali, misurando separatamente il capitale finanziario e fisico – utilizzando la metrica del CEE (Efficienza del Capitale Impiegato), definita come il rapporto tra il valore aggiunto e il valore contabile degli attivi totali – e il capitale intellettuale, valutato attraverso due dimensioni: l’efficienza del capitale umano (HCE) e l’efficienza del capitale strutturale (SCE). L’efficienza del capitale umano rappresenta la produttività dei knowledge workers ed è misurata come il rapporto tra il valore aggiunto e le spese salariali, mentre l’efficienza del capitale strutturale è data dal rapporto tra il valore aggiunto al netto delle spese salariali e il valore aggiunto.

Per misurare l’effetto delle pratiche HR legate al genere abbiamo condotto una content analysis, metodologia comunemente utilizzata negli studi sulla rendicontazione volontaria. Per ciascuna azienda nel nostro dataset nel biennio preso in esame, abbiamo esaminato sistematicamente tutte le dichiarazioni relative alla diversità di genere e alla gestione dell’uguaglianza così come riportate nei report integrati o nei report di sostenibilità. In linea con una letteratura consolidata, abbiamo costruito un indicatore del grado di disclosure in merito alle informazioni rese dalle aziende circa le pratiche HR adottate. Successivamente, per catturare le tre dimensioni principali delle pratiche HR che promuovono la partecipazione femminile abbiamo sviluppato tre variabili principali:

(a) Assunzione, che comprende schemi, procedure e strutture legati alla selezione e alla remunerazione delle lavoratrici;

(b) Sviluppo delle risorse umane e formazione, che si riferisce alle azioni intraprese per lo sviluppo professionale delle dipendenti (mentoring, formazione per la leadership, pianificazione dell’avanzamento di carriera, iniziative per agevolare il ritorno al lavoro dopo la maternità o il congedo parentale, progetti di team-building e gestione della dinamica di gruppo);

(c) Retention, che include misure per ridurre l’assenteismo e l’abbandono del posto di lavoro da parte delle dipendenti (benefici, misure di supporto per il bilanciamento tra lavoro e vita privata, supporto per la cura, flessibilità d’orario e reti femminili).

Abbiamo inoltre introdotto diverse variabili di controllo a livello aziendale. Nello specifico, una di queste variabili tiene conto dell’ambiente lavorativo e include dati riguardanti la presenza femminile nella forza lavoro. Questi dati considerano la rappresentanza delle donne, la loro posizione nella gerarchia aziendale, i tipi di contratti al termine dell’anno fiscale e le prospettive di crescita. Inoltre, abbiamo esaminato due categorie principali di variabili di controllo relative al consiglio di amministrazione. Questi fattori di controllo comprendono le caratteristiche delle donne nei consigli di amministrazione, come il loro grado di indipendenza, livello di istruzione, durata della permanenza nel consiglio e le funzioni svolte nelle principali aree di governance, tra cui i comitati per il rischio, la presidenza e le nomine.

Risultati e implicazioni

I risultati dell’analisi empirica offrono interessanti spunti di riflessione rispetto alla domanda di ricerca che ha guidato il presente studio. I nostri dati rivelano un’influenza positiva della selezione delle dipendenti donne sia sull’efficienza del capitale umano sia su quella del capitale strutturale. Ciò sottolinea il ruolo imprescindibile della selezione nel processo di creazione di valore, abbracciando l’intero ciclo di vita professionale. Infatti, l’assunzione costituisce la fase primigenia nell’edificazione dell’immagine del datore di lavoro ed un momento critico per l’attuazione dei principi di armonizzazione tra individuo e organizzazione, nonché tra individuo e task.

Al contrario, abbiamo osservato un impatto negativo delle iniziative di sviluppo e formazione sull’efficienza del capitale finanziario e fisico. Tale risultato suggerisce la possibilità che gli investimenti HR volti a promuovere queste leve possano in realtà richiedere un periodo di tempo più dilatato rispetto al biennio osservato in questo studio per manifestare risultati apprezzabili. Infatti, i tempi richiesti dall’iter di sviluppo, in relazione alle promozioni e alle opportunità di mobilità, è influenzato da molteplici elementi sia in termini di competenze e performance individuali che di più ampie trasformazioni a livello organizzativo. Pertanto, questa discordanza temporale potrebbe condizionare il nesso tra tali pratiche e la crescita del capitale intellettuale. Va inoltre considerato che la gamma di iniziative formative è notevolmente diversificata, includendo al contempo programmi sistematici focalizzati sulle diverse sfide affrontate dalle lavoratrici e iniziative più mirate che si concentrano su aspetti specifici come leadership, decision-making, motivazione e gestione della conoscenza. Data questa eterogeneità, nel breve termine, i risultati potrebbero essere eclissati dai relativi costi, spiegando quindi l’esistenza di un’associazione negativa con l’efficienza del capitale impiegato.

In termini di implicazioni pratiche, i nostri risultati offrono interessanti spunti. In primo luogo, le aziende che mirano ad aumentare il capitale intellettuale dovrebbero prestare particolare attenzione al loro posizionamento competitivo in termini di capacità di garantire un’”esperienza di lavoro” attrattiva e distintiva rispetto ai competitor. Per diventare un “employer of choice“, ovvero un’organizzazione che supera i concorrenti nell’attrarre, sviluppare e trattenere donne con competenze richieste dal business, la fase di assunzione rappresenta il primo ed essenziale investimento. Il modello del ciclo di vita del dipendente basato su diverse fasi successive all’assunzione (onboarding, trattenimento, sviluppo professionale, gestione delle performance e retribuzione) consente infatti all’organizzazione di generare un “effetto domino”.

A questo proposito, le aziende potrebbero considerare lo sviluppo di segnali di assunzione “gender-sensitive“, come la creazione di annunci con una terminologia che si allinei alle autopercezioni delle donne, favorendo un linguaggio che rifletta la sensibilità femminile così da migliorare l’adattamento percepito delle donne, anticipando al contempo il loro senso di appartenenza e successo nelle candidature e aumentare le loro intenzioni a candidarsi. Inoltre, coinvolgere reclutatrici donne potrebbe attenuare il “gap di fiducia” spesso osservato nelle donne durante le procedure di assunzione rispetto ai loro colleghi maschi. Questo approccio potrebbe anche contribuire a contrastare gli effetti negativi dei segnali di genere distorti, come l’uso di un linguaggio stereotipicamente maschile negli annunci stessi.

Considerando l’impatto positivo dell’assunzione sul capitale intellettuale, le aziende dovrebbero esplorare le modalità per potenziarne ulteriormente l’efficacia, ad esempio enfatizzando l’importanza di un processo di onboarding “gender-sensitive”. Considerato che uomini e donne tendono a impiegare differenti strategie di interazione e risposta, la personalizzazione dei sistemi di onboarding e l’implementazione di servizi dedicati di coaching e mentoring possono agevolare la transizione all’interno di un nuovo contesto lavorativo. Inoltre, essendo il sistema di onboarding un pilastro fondamentale della gestione delle risorse umane, le aziende dovrebbero concentrarsi su quattro sfere all’interno di questo sistema: quella organizzativa, socio-psicologica, professionale e psicofisiologica. In questa prospettiva, un servizio specifico di coaching e mentoring, differenziato in termini di intensità e orientamento, può facilitare l’ingresso e le prime fasi della permanenza delle donne all’interno del nuovo ambiente lavorativo.

Inoltre, le aziende dovrebbero prestare attenzione al ruolo complesso e potenzialmente perturbante delle pratiche di sviluppo e formazione, per contrastare il quale potrebbero rendersi necessarie delle iniziative di sensibilizzazione e promozione della gestione della diversità così da eliminare gli stereotipi di genere. Indipendentemente dal focus specifico di queste iniziative di formazione, che sia ampio o specializzato, adottare un approccio sensibile al genere nello sviluppo e nella formazione è essenziale per aumentare la consapevolezza e sostenere il cambiamento comportamentale.

Un ulteriore aspetto di non secondaria importanza concerne la gestione delle performance, che rappresenta una fonte rilevante di complessità etica all’interno delle organizzazioni. Per preservare l’imparzialità e prevenire possibili pregiudizi di genere, assistendo altresì i responsabili nella valutazione dei dipendenti in modo uniforme e trasparente, si suggerisce l’adozione di meccanismi valutativi in grado di fornire una panoramica completa. Questa prospettiva implica il coinvolgimento di vari stakeholders, quali superiori, colleghi, subordinati e altri soggetti rilevanti, integrando tassonomie di giudizio misurabili all’interno del Sistema di Revisione delle Performance (PRS). La regolarità e la chiarezza del processo valutativo possono, altresì, promuovere la ponderatezza: il ricorso a feedback e valutazioni continui consente di acquisire un quadro più esauriente di ciascun collaboratore, indipendentemente dal suo genere. Inoltre, assicurare l’accesso self-service alle informazioni inerenti alle valutazioni delle performance correnti e pregresse risulta essere di considerevole utilità a fini della ricalibrazione.

Un ulteriore aspetto meritevole di particolare attenzione è rappresentato dall’inesorabile persistenza di un divario retributivo di genere, sebbene alcuni studi abbiano constatato una riduzione di tale gap a livelli gerarchici più elevati, per esempio a livello di CEO (Elkinawy e Stater, 2011). Le differenze di genere emerse nelle dinamiche negoziali possono essere considerate come una causa primaria delle attuali disparità di genere riscontrate nel panorama occupazionale. L’esplicitazione del carattere negoziabile dei salari potrebbe costituire una spinta significativa per le donne, incoraggiandole ad intraprendere trattative retributive mirate ad ottenere una remunerazione più consona (Leibbrant & List, 2015). In aggiunta, le revisioni periodiche delle politiche retributive possono rivelare disomogeneità ingiustificate nell’assetto delle compensazioni, garantendo, in tal modo, l’uguaglianza salariale per lavoro di eguale valore.

Infine, quando un’azienda si pone come obiettivo quello di garantire che l’esperienza sul posto di lavoro sia più attrattiva e distintiva rispetto ad altre alternative presenti sul mercato, è cruciale mettere a disposizione adeguati sistemi di supporto. Questi sistemi possono essere sia di natura formale, definiti ufficialmente dall’azienda, sia informale, e quindi basati su reti e relazioni personali tra i dipendenti. Questi supporti sono fondamentali per aiutare le donne a bilanciare le responsabilità familiari con il lavoro, contribuendo al loro benessere e mantenendo alta la loro motivazione. Questo, a sua volta, le aiuta e incoraggia a svolgere con successo il duplice ruolo di cura e impiego. La valorizzazione della crescita personale, del significato nel lavoro, del coinvolgimento e dell’opportunità di apportare un contributo significativo rappresentano oggi elementi di maggiore rilevanza rispetto all’aspetto retributivo per la gran parte dei knowledge workers.

Considerazioni conclusive e ricerche future

La nostra ricerca si è proposta di indagare in che modo le pratiche HR mirate a promuovere il coinvolgimento delle donne sul luogo di lavoro possano influenzare positivamente la generazione di capitale intellettuale a livello aziendale. Questo approccio è stato ispirato dalla prospettiva di Pulic (2000), il cui vero obiettivo era non tanto quello di misurare il valore del capitale intellettuale di per sè, ma piuttosto di valutare il valore generato da tale capitale, in particolare da parte delle risorse umane.

Al fine di catturare con maggiore precisione tali effetti, abbiamo condotto un’analisi delle tre principali aree delle pratiche delle risorse umane, ovvero la selezione, lo sviluppo e la formazione, e la retention, esaminandone gli impatti sulle tre dimensioni del valore aggiunto del capitale intellettuale (VAIC), ossia l’efficienza del capitale finanziario e fisico, l’efficienza del capitale umano e l’efficienza del capitale strutturale. Contribuiamo così in maniera significativa al dibattito in corso rivelando i differenti effetti associati a queste diverse pratiche, al tempo stesso discostandoci dagli studi pregressi che non si erano preoccupati di segmentare il VAIC nelle sue diverse dimensioni.

L’analisi non è priva di limiti, che potrebbero offrire interessanti percorsi per ricerche future. In primo luogo, va senz’altro notato il breve periodo di osservazione: ricerche future potrebbero estendere il nostro campione e sviluppare panel basati su orizzonti temporali più lunghi. Ciò potrebbe anche gettare ulteriore luce sulle nostre interpretazioni dei potenziali ritardi nel manifestarsi dei vari effetti sul capitale finanziario, fisico e intellettuale. In secondo luogo, sebbene le nostre variabili che catturano le pratiche HR sensibili al genere siano costruite sulla base di molteplici elementi, è anche degno di nota che la composizione di tali elementi è relativamente eterogenea. Pertanto, studi futuri potrebbero adottare una prospettiva più focalizzata e indagare gli effetti specifici degli elementi individuali.

Infine, la letteratura precedente (Chen & Hassan, 2022; Handschumacher-Knors, 2022) ha sottolineato l’importanza di due leve critiche, ossia la gestione delle performance e la retribuzione, che non sono state prese in considerazione in questa analisi. Ad esempio, la gestione delle performance è un catalizzatore di dilemmi etici per garantire una valutazione imparziale. Allo stesso modo, la retribuzione può svolgere un effetto di contingenza come divario di genere nei redditi. Le differenze di genere nelle negoziazioni possono essere una causa essenziale delle attuali differenze di genere nei risultati del mercato del lavoro: rendere esplicito che i salari sono negoziabili può motivare le donne a iniziare trattative per un salario più alto. Inoltre, le verifiche periodiche dei salari aiutano ad evidenziare possibili differenze ingiustificate nei pacchetti retributivi e a garantire la parità di retribuzione. Di conseguenza, ulteriori studi potrebbero esplorare se queste due variabili possano plasmare l’impatto delle pratiche HR sensibili al genere sulle varie dimensioni del VAIC.

Per concludere, desideriamo sottolineare che future ricerche potrebbero approfondire l’analisi delle specificità legate ai diversi settori industriali nell’esplorare la complessa relazione tra la gestione della diversità e il valore aggiunto del capitale intellettuale. Tale indagine potrebbe far emergere differenze sostanziali, ad esempio tra industrie orientate alla conoscenza e quelle che pongono una maggiore enfasi sul capitale fisico.

Nel loro insieme, le riflessioni suscitate da questo studio si armonizzano con i dialoghi attualmente in corso in merito al VAIC e alle sue determinanti. Il nostro focus rivolto alle pratiche HR mirate a coinvolgere e potenziare le donne, all’interno di una prospettiva di gestione della diversità, getta nuova luce sull’intricato processo di sviluppo delle varie dimensioni del VAIC aziendale. In tal modo, ci inseriamo con convinzione nella discussione sull’importanza di esaminare con attenzione le componenti del VAIC, contribuendo in modo significativo a un dibattito avvincente e in continua evoluzione.

Bibliografia

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Jelinkova, E. and Jirincova, M. (2015), Diversity management as a tool of managing intellectual capital. Journal of Competitiveness, 7(4), 3-17.

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Shahzad, F., Baig, M. H., Rehman, I. U., Latif, F. and Sergi, B. S. (2019), What drives the impact of women directors on firm performance? Evidence from intellectual capital efficiency of US listed firms. Journal of Intellectual Capital, 21(4), 513-530.

Autori

Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza)

Università Cattolica del Sacro Cuore

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