Narrazione è organizzazione. Dall’intreccio all’interpretazione

Czarniawska, B. (2018), La narrazione nelle scienze sociali, collana punto org – diretta da Luigi Maria Sicca, Napoli: Editoriale Scientifica (pp. 271, € 16,00).

Introduzione

Questo contributo ha lo scopo di segnalare e recensire la pubblicazione della prima edizione italiana del libro di Barbara Czarniawska (ed. or. Narratives in Social Science Research, London: Sage) a cura di Luigi Maria Sicca (Università degli Studi di Napoli Federico II), Francesco Piro (Università degli Studi di Salerno), Ilaria Boncori (University of Essex). Il volume si colloca nella tradizione della rete di ricerca internazionale puntOorg, caratterizzata dalla centralità della dimensione dialettico dibattimentale come metodo di ricerca organizzativa. Ne è testimonianza la presenza, nella sezione finale del testo, di una sezione, denominata “Tavola rotonda”: uno scambio da diversi angoli-visuali, cui partecipa, insieme ai curatori, il prof. Mauro Gatti (Università di Roma La Sapienza) che ospitò Barbara Czarniawska nella prima Winter School di ASSIOA, intitolata “Narratives in Organizational Research” che si è tenuta in Sapienza a Roma dal 16 al 20 Gennaio del 2017.

Barbara Czarniawska è attualmente Senior Professor of Management Studies presso l’Università di Göteborg ed è insieme a pochi altri, tra tutti David Boje (1991; 2001) e Yannis Gabriel (2000; 2004), un riferimento classico delle metodologie narrative. Lo scopo del volume è quello di tracciare un percorso metodologico per l’adozione di un approccio narrativo allo studio delle organizzazioni. Si parte infatti da come riconoscere e raccogliere i racconti per delinearne poi le caratteristiche, cioè un insieme strutturato di eventi, in cui l’autore sceglie un ordine non necessariamente cronologico, costruendo cioè un “intreccio”[1]. La proposta metodologica di Czarniawska è accompagnata da una riflessione (che occupa in particolare l’ultimo capitolo), in cui l’autrice traccia il rapporto tra narrazione e scienze sociali, indagando la questione epistemologica che sottende la necessità di raccontare la società, pur facendone parte. Insomma, la domanda archetipica della storia delle scienze sociali, sulla distanza tra soggetto osservante e oggetto osservato, diventa lo stimolo per indagare la narrativizzazione delle scienze sociali: così l’autrice si confronta sia con le discipline umanistiche, sia con le scienze dure, indossando gli occhiali del “costruttivismo”, nell’intento di “ricostruire” (appunto), decostruendo. In proposito:

La struttura della vita umana richiede imprevedibilità ed è per questo, paradossalmente, che il presunto fallimento delle scienze sociali nel formulare regole e nel prevedere un risultato è in realtà il loro più grande successo. (p.33)

Nei prossimi paragrafi si svelerà parte di questo intreccio, adottando un triplice punto di vista, uno per ciascun paragrafo: 1. Il volume nel più ampio percorso di ricerca dell’autrice; 2. La struttura del volume e l’articolazione in capitoli; 3: L’edizione italiana: traduzione, curatela e tavola rotonda. A conclusione (Par. 4, Narrazione è organizzazione) si proporrà una riflessione su come questo libro contribuisca al sodalizio metodologico tra organizzazione e narrazione.

Il volume nel più ampio percorso di ricerca dell’autrice

La narrazione nelle scienze sociali, pur declinando i possibili usi della narrazione negli studi di organizzazione aziendale, non può essere rubricato come una mera raccolta di metodi di analisi. Vi è infatti un ampio spazio riservato alle teorie, consentendo così all’autrice di supportare il discorso sui metodi di analisi con una forte impronta metodologica, fisiologicamente interdisciplinare. Così facendo, l’autrice tesse un proficuo dialogo che attraversa almeno tre decadi della “svolta narrativa” (p. 13): da White (1978) a MacIntyre (1988; 1995), fino ai più recenti Boje (1991) e Gabriel (2000). I testi, che Czarniawska definisce il “pane quotidiano degli scienziati sociali” (p. 213), rappresentano il minimo comune denominatore degli interessi di tutti questi studiosi. Con l’intento di fare una sintesi ambiziosa, si potrebbe dire che Czarniawska si occupa di due fasi che riguardano lo studio dei testi: nella prima fase si comprende quali siano le storie (diverse da semplici elenchi o note), e nella seconda fase quali storie attraverso la loro trasmissione orale/scritta, diventino poi narrazioni. Contribuendo, in questo modo, all’esistenza delle organizzazioni stesse. Il “racconto”, adottando questa chiave, è considerato un insieme ordinato di eventi, mentre la “storia”, invece, è un “intreccio” (appunto), scelta, opzione, arbitrio, quindi responsabilità dell’autore che decide di farci sapere alcune cose prima di altre, passando più volte da un equilibrio ad un altro (Todorov, 1989), a dispetto di qualunque ordine cronologico.

Narrazioni e organizzazioni sono state oggetto della gran parte della produzione scientifica di Barbara Czarniawska. Tra i lavori della stessa autrice, si ricorda Good Novels, Better Management, curato insieme a Guillet de Monthoux nel 1994. Gli autori, in quella occasione, indirizzavano i manager a comprendere e conoscere le organizzazioni attraverso i classici, da Don Chisciotte a Mr. Polly. Ma ancora di più, La narrazione nelle scienze sociali è la naturale evoluzione del lavoro del (1997) Narrating the Organization. Dramas of Institutional Identity, Chicago: The University of Chicago Press, la cui edizione italiana del 2000 “diventa” Narrare l’organizzazione. La costruzione dell’identità istituzionale, Edizioni di Comunità: Torino.

Silvia Gherardi, nella sua presentazione a quest’ultimo testo (p. XIII), evidenziava come la Czarniawska consideri “l’attività del narrare e del narrare comunicativamente come locus in cui si formano le istituzioni e in particolare le identità istituzionali”. Questa affermazione rappresenta, virtualmente, l’aggancio a La narrazione nelle scienze sociali, secondo cui non è tanto la tradizione orale o l’analisi della narrazione stessa a interessare gli studiosi di organizzazione, quanto le connessioni tra gli eventi che la caratterizzano.  Dando un significato, in questo modo, al concetto stesso di “identità” come sistema interagente di “azioni”.

La struttura del volume e l’articolazione in capitoli

Il libro è articolato in dieci capitoli, idealmente declinabili in tre parti: nella prima (capitoli 1-3) Czarniawska si occupa di come identificare le storie. Nella seconda (capitoli 4-7) l’autrice si dedica invece a supportare il lettore ad intraprendere diversi percorsi per analizzare e interpretare le storie. La terza parte (capitoli 8-10) si dedica a comprendere le possibili connessioni tra narrazioni e scienze sociali. L’autrice si domanda, infatti, quale sia il ruolo delle storie per lo studioso di organizzazioni, sia come oggetto di studio, sia come metodo.

Ogni capitolo (eccetto l’ultimo) si chiude con un esercizio. Un vero e proprio invito all’azione che chiede al lettore di produrre un testo, una storia, dei materiali di ricerca. La funzione di queste esercitazioni è duplice. Da una parte vi è uno scopo didattico, per una valutazione in itinere del processo di apprendimento, dall’altra c’è un’enfasi divulgativa. Infatti, le analisi degli studiosi hanno il compito (come chiarisce l’autrice) di uscire dalle pagine del testo e abitare il mondo, stimolando il dibattito anche interdisciplinare. Gli esercizi sono diversi tra loro, e spesso c’è l’invito a non andare avanti nella lettura o nell’esercizio successivo a meno di aver completato il compito assegnato: “trascrivi un’intervista” oppure “analizza il testo attraverso le tre fasi di lettura”. Come si legge nel testo di quarta di copertina:

Perché sfogliando queste pagine, impariamo i modi di una cronaca, un’intervista, un’indagine, un testo di ricerca. Con griglie per analizzare e decostruire. Ma anche costruire. Con tanto di esercizi per iniziare a farlo.

L’edizione italiana: traduzione, curatela e tavola rotonda

La traduzione e curatela in italiano di un libro di metodologia della ricerca ha un ruolo potenzialmente strategico nei processi di internazionalizzazione della nostra comunità scientifica. Infatti questa operazione editoriale rafforza il doppio binario dell’internazionalizzazione: da una parte, la comunità accademica italiana interagisce con la comunità internazionale in lingua inglese (che dopo la fine della II Guerra Mondiale è divenuto un codice universalmente condiviso, con il predominio delle grandi business school americane), esitando a volte in operazioni meramente “mimetiche”; dall’altra, i prodotti diffusi anche grazie alla condivisione di questa lingua (la seconda più parlata al mondo, dopo il Cinese mandarino) e tradotti in italiano, alimentano e strutturano il dibattito “domestico”, supportando l’identità istituzionale della nostra comunità scientifica. I lavori di Barbara Czarniawska percorrono la prospettiva del doppio binario, declinando in modo sempre diverso i rapporti tra lingua, traduzione e oggetto di studio: da Czarniawska (2000), in cui vi è il resoconto di un caso di studio condotto in Italia (ANSA); passando per Czarniawska, Pipan, Mazza (2001), terza tappa del programma internazionale “Managing Big City”, che ha visto Roma come protagonista, dopo Varsavia e Stoccolma; fino alla traduzione italiana del saggio “Strong plots: Popular Culture in Management Practice and Theory(Czarniawska e Rodhes, 2006) contenuta in Sicca (2010), pubblicato in italiano come “Trame forti: la cultura di massa nella teoria e nella pratica del management”. In quel capitolo l’autrice si occupava di come le storie tendano a ripetersi, nella letteratura (di massa e alta) così come nelle organizzazioni, e come alcune intrecci (ancora “plot”, in quella sede tradotto con “trame”), siano più insistenti di altri, offrendo così nuove modalità plurali di interpretazione agli studiosi italiani di organizzazione aziendale.

Lo scopo di indagare ulteriormente il concetto di internazionalizzazione, lavorando sul ruolo che le lingue hanno nella costruzione di significati condivisi è perseguito anche dalla sezione “Tavola rotonda”, che si schiude una volta letta tutta la versione italiana di Narratives in social science research, e dopo aver consultato, glossario, bibliografia e indice analitico. Si tratta di un genere (quello della “tavola rotonda”) già utilizzato nell’àmbito delle ricerche puntOorg (AA.VV., 2013), in cui vi è un coro di sguardi, di diversa provenienza, che affrontano uno stesso tema.

Narrazione è organizzazione

Barbara Czarniawska invita il lettore ad approcciare alla narrazione come “metodo”, lezione che l’autrice condivide con il connazionale Zygmunt Baumann, che nella sua L’ultima lezione (2018) ci ricorda che il passato diventa immaginario almeno quanto il futuro, se non viene narrato. Le metodologie delle narrazioni rendicontate da Barbara Czarniawska in questo libro si intersecano in un continuo dialogo tra l’esigenza di studiare la società hic et nunc e una sempre viva questione epistemologica. Utilizzando un approccio di tipo costruttivista, l’autrice raggiunge l’obiettivo di non consegnare al lettore delle ricette preconfezionate per l’analisi di dati, bensì di stimolare un approccio narrativo allo studio delle organizzazioni, lasciando il compito di affilare gli strumenti ai singoli ricercatori.

È forse questo il motivo per cui, questo volume ha una potente funzione didattica, senza cedere mai alla ricerca della sintesi “perfetta” tra rigore del metodo scientifico e rilevanza dei risultati ottenuti. L’autrice ottiene questo risultato affidandosi e affidando noi lettori alla funzione pedagogica della capacità di formulare domande, prima ancora di risolvere questioni complesse con risposte semplificate. A mero titolo di esempio, Barbara Czarniawska contribuisce a delineare il campo della narrazione nelle scienze sociali asserendo che mentre l’apertura a interpretazioni contrastanti rappresenta per la scienza un vizio, per la narrazione è invece una virtù. Un potenziale di comprensione del mondo che va ben oltre il relativismo per assurgere a potenziale espressivo. Non è un caso, in tal senso, che l’adesione della rete puntOorg a questo approccio “critical” trovi un felice cortocircuito al contributo che discipline come la musica (uno per tutti il lavoro sul concetto di improvvisazione, già caro a Weick e molti altri) o la filosofia possono offrire alla comprensione delle cose del mondo, in quanto fonti di conoscenza manageriale (Sicca, 2012).

La lettura di questo testo spinge ad una riflessione su cosa renda un libro “un classico”, a supporto di più generazioni di studiosi, per rendere più efficaci e fruibili le proprie ricerche. Cosa distingue un qualunque buon libro, anche qualificato, di research methods, da un classico delle metodologie, è proprio la capacità di saper intrecciare (ancora una volta la parola chiave è plot) il dialogo tra la formazione del sapere e il metodo di osservazione del fenomeno sociale, di sapere essere “manuale” pur sapendo andare oltre, come ricorda Francesco Piro nel suo intervento intorno alla tavola rotonda, virtuale luogo di confronto tra studiosi che riflettono – à la Dewey – intorno a un comune “oggetto di pensiero”. Ciò che rende La narrazione nelle scienze sociali un classico è probabilmente la consapevolezza che narrazione è organizzazione, entrambe impegnate nell’intreccio costruito dai propri autori, che a loro volta stipulano con i lettori gli stessi contratti proposti da Todorov e citati da Czarniawska sia nel primo che nell’ultimo capitolo di questo classico dell’organizzazione. Il contratto referenziale: attiva il tuo scetticismo e io ti istruirò, e il contratto fittizio: sospendi il tuo scetticismo e io ti farò divertire.

Bibliografia

AA.VV. (2013), Tavola rotonda. Umanesimo del management attraverso gli occhi dell’altro, Napoli: Editoriale Scientifica.

Baumann, Z. (2018), L’ultima lezione, Bari: Laterza.

Boje, D. (1991), “The story-telling organization: a study of story performance in an office-supply firm”, Administrative Science Quaterly, 36: 106-126.

Boje, D. (2001), “Narrative methods or organizational and communication research”. London: Sage.

Czarniawska, B. (2000), Narrare l’organizzazione. La costruzione dell’identità istituzionale, Edizioni di Comunità: Torino.

Czarniawska, B. (2001), Ansa: analisi etnografica di un’agenzia di stampa, Roma: Carocci.

Czarniawska, B., Mazza, C., Pipan, T. (2001), Gestire grandi città: storie di Roma al passaggio del millennio, Milano: Franco Angeli.

Czarniawska, B., de Monthoux, P.G., a cura di (1994), Good novels, better management, Switzerland: Harwood Academic Publisher.

Czarniawska, B., Rodhes, C. (2006), “Strong plots: Popular Culture in Management Practice and Theory”, in Gagliardi, P., Czarniawska, B. (eds), Management Education and Humanities, 195-218, Cheltenam, UK: Edward Elgar.

Gabriel, Y. (2000), Storytelling in organizations, Oxford: Oxford University Press.

Gabriel, Y. (ed.) (2004), Myths, stories and organizations. Premodern narratives for our times. Oxord: Oxford University Press.

MacIntyre, A. (1988), Dopo la virtù: saggio di teoria morale. Milano: Feltrinelli

MacIntyre, A. (1995), Giustizia e razionalità, Milano: Anabasi.

Sicca, L.M. (2010), Leggere e scrivere organizzazioni, collana punto org – diretta da Luigi Maria Sicca, Napoli: Editoriale Scientifica.

Sicca, L.M. (2012), Alla fonte dei saperi manageriali. Il ruolo della musica nella ricerca per l’innovazione e per la formazione delle risorse umane. Napoli: Editoriale Scientifica.

Todorov, T. (1989), Poetica della prosa, Roma-Napoli: Theoria.

White, H. (1978), Retorica e storica, Napoli: Guida.

[1] Plot, nel testo inglese, come suggerito dai criteri di traduzione del libro, dichiarati a beneficio di una lettura più consapevole nella Nota editoriale.

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Università degli Studi di Napoli Federico II

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