Nuova Impresa – Cercasi Studente Esperto con Forte Propensione Imprenditoriale

Le priorità strategiche europee per il 2020 vedono l’imprenditorialità e la sua diffusione  come elementi chiave per la competitività degli Stati Membri. In questa quadro, la formazione e l’educazione imprenditoriale sono viste come possibili risposte a questa sfida. Ma come si forma o si educa un imprenditore? E la formazione funziona davvero? In questo lavoro discutiamo alcuni aspetti del dibattito che, rispetto a questi due temi, stanno animando la ricerca.

Educazione imprenditoriale

Quando si parla di “educazione imprenditoriale” si può facilmente immaginare che ci si riferisca ad attività di sviluppo che riguardano la professione di imprenditore. È tanto semplice nel richiamare un immaginario che, assumiamo, sia collettivo, che anche negli articoli scientifici molti autori non ne forniscono una   definizione. Si dà per scontato che tutti sappiamo cosa sia e cosa implichi.

Tuttavia quando si inizia a declinare il concetto di “educazione imprenditoriale” in modo operativo, ci si rende conto della vastità degli assunti teorici in gioco e della sua complessità, tanto da far sospettare che non esista una visione univoca. Se analizziamo le esperienze di ricerca e della pratica professionale sembra che alla base vi sia una idea di imprenditorialità stereotipata, semplificata, i cui assunti sono stati adottati senza essere sottoposti ad una adeguata riflessione teorica ed empirica. Questa è una delle principali critiche che diversi autori muovono nei confronti dell’educazione imprenditoriale (Fayolle, 2013).

In questo lavoro discutiamo alcuni aspetti che riteniamo essenziali per sviluppare un approccio teorico-pratico sempre più consapevole all’educazione imprenditoriale.

Cosa è l’educazione imprenditoriale?

Nel 2002, Gibb pubblica un articolo su International Journal of Management Reviews in cui muove una critica profonda all’insegnamento dell’imprenditorialità.  Nel criticare soprattutto quello che avviene nei contesti universitari e nelle business school, nel Regno Unito ed Europa, ritiene che vi sia la necessità di un “cambiamento radicale Schumpeteriano nell’educazione imprenditoriale, che implica una destrutturazione creativa e nuovi modi di organizzare la conoscenza e la pedagogia” (Gibb, 2002; p. 259). Per questo propone di passare da un concetto tradizionale di imprenditorialità, visto come pura azione di creazione di impresa, gestione di grandi imprese e perseguimento dell’innovazione (su cui sino ad allora si è imperniato il concetto di entrepreneurship education), a quella di educazione imprenditiva (entreprising education) che si “allontani da un ristretto orientamento al business, e che abbracci invece una nozione di sviluppo della persona intraprendente, che sia in grado di mettere in opera appropriatamente un efficace comportamento imprenditoriale, in diversi contesti e in tutti i tipi di organizzazione” (pag. 258).

La necessità di questa destrutturazione creativa risiede nell’aumento della complessità e dell’incertezza che caratterizzano il mondo del lavoro e che richiede, ai diversi portatori di interesse che operano in un’economia globale, la capacità di essere sempre più imprenditoriali.

Come si realizza l’educazione imprenditoriale?

A partire dal lavoro di Gibb (2002), diversi autori iniziano a ragionare sulle sfide poste da un’educazione imprenditoriale che è libera dal tecnicismo e che è orientata a contribuire allo sviluppo della persona imprenditoriale. Le domande che ci si pone con una certa frequenza non sono più se è possibile insegnare l’imprenditorialità (questione che ha caratterizzato il dibattito accademico fino all’inizio del 2000), ma il focus si sposta sul “come” si possa formare all’imprenditorialità.

In questa prospettiva, ci soffermiamo su tre macro aspetti che, rispetto al “come”, stanno acquistando una certa rilevanza nell’ambito dell’educazione imprenditoriale:

  • capacità di gestire complessità, imprevedibilità e incertezza;
  • gestione delle emozioni;
  • creatività.

Capacità di gestire complessità, imprevedibilità e incertezza

Honig (2004) costruisce la sua riflessione intorno ai concetti di complessità, imprevedibilità e incertezza dell’azione imprenditoriale, e solleva importanti critiche rispetto alla centralità che riveste il business planning, che invece promuove un’idea di pianificazione e prevedibilità. La sua idea è che l’identificazione e lo sviluppo di un’idea imprenditoriale non ha niente di prevedibile. Serve pertanto un approccio formativo che sia invece in grado di sviluppare competenze di gestione dell’incertezza.

Sul piano dell’insegnamento, il pensiero di Honig ha portato a dare enfasi ad approcci di apprendimento esperienziale, che in casi estremi, sono visti in opposizione a quelli di insegnamento dei principi generali. Si pongono le basi per lo sviluppo del concetto di mind-set imprenditoriale, inteso come capacità di intuizione, azione e organizzazione in condizioni di incertezza (Haynie, Shepherd, Mosakowski, e Earley, 2010). Resta tuttavia l’idea che non tutto il sapere imprenditoriale possa basarsi sulla pratica e serva un equilibrio con gli aspetti teorici che permettano ai futuri imprenditori di elaborare proprie risposte operative di fronte all’incertezza (Fiet, 2000).

Gestione delle emozioni

Contemporaneamente al lavoro di Honig, Shepherd (2004) richiama l’attenzione sul processo di gestione delle emozioni e di apprendimento dal fallimento, come aspetti chiave dello sviluppo imprenditoriale. Propone, in particolare, che nell’ambito dell’entrepreneurship education si adottino approcci di insegnamento orientati alla gestione delle emozioni, il cui focus è quello di “concentrarsi su cosa gli studenti provino dal punto di vista emotivo, piuttosto che sul come e sul cosa pensino” (p. 274).

In tal senso, un punto di riferimento teorico ed empirico rilevante è quello di Pittaway e Cope (2007). Gli autori descrivono, valutandone qualitativamente anche i risultati al livello individuale, un caso di formazione basato sul processo di creazione di impresa. Il percorso si ripropone di ricreare, in un contesto di apprendimento, le condizioni di incertezza dell’azione imprenditoriale. Il loro obiettivo di ricerca è di comprendere se e in quale misura, tali processi possano essere simulati all’interno di un percorso di formazione. La simulazione ruota intorno a cinque assi:

  • esposizione emotiva e finanziaria: l’obiettivo è di creare condizioni di incertezza e ambiguità, offrendo agli studenti percorsi educativi alternativi a quelli che regolano l’attività accademica classica. Introducono attività progettuali nelle quali le dinamiche di gruppo sono cruciali e non controllabili e collegano l’attività formativa alla realizzazione di un progetto reale;
  • orientamento all’azione e alla proattività, che prevede la creazione di un progetto nel quale gli studenti sono pienamente coinvolti come agenti attivi e sono intrinsecamente motivati alla realizzazione;
  • discontinuità, vista come opportunità di creare condizioni di non controllabilità. Per questo è possibile ricorrere al supporto di tutor e mentor per attivare processi di destrutturazione dell’idea imprenditoriale e facilitare attività di riflessione su quanto si sta realizzando;
  • apprendimento sociale e situazionale, che punta alla creazione di gruppi i cui membri siano auto-selezionati. L’idea di fondo è quella di stimolare il ricorso a tutto il bagaglio conoscitivo per la gestione di relazioni complesse con propri pari o con potenziali investitori;
  • generalizzazione dell’apprendimento, volto a stimolare l’utilizzo delle conoscenze possedute dagli studenti per affrontare problemi nuovi e diversi da quelli incontrati nei contesti accademici.

Osservando quanto accaduto durante il percorso, gli autori mettono in evidenza che tali tipologie di percorsi possono riuscire a simulare l’imprevedibilità e offrire opportunità di reale coinvolgimento emotivo, dove il confine tra simulazione e realtà diventa sfumato.

Creatività e processo sovversivo

Se assumiamo che il concetto di imprenditorialità incorpori anche la destrutturazione dello status-quo e il sovvertimento di regole esistenti, una domanda è se e come si possa insegnare ad essere dirompenti.

Alcune esperienze in questo senso hanno evidenziato che percorsi basati su esercizi strutturati per l’identificazione di nuove idee di impresa permettono agli studenti di essere più produttivi in termini di idee individuate e più creativi in termini di innovatività delle idee proposte, anche a prescindere dalla personale propensione ad innovare (DeTienne e Chandler, 2004).

Sulla scorta di queste esperienze, più di recente, è stato proposto di alimentare il carattere dirompente dell’attività imprenditoriale rafforzando l’apprendimento riflessivo. Questo è visto come stimolo per lo sviluppo di nuovi significati. La fonte di tale apprendimento è il ragionare sul conflitto, sulla contraddizione, sul fallimento che è possibile sperimentare quando ci si impegna in processi e pratiche sovversive (creare qualcosa mettendo a frutto il potenziale creativo di tutte le risorse in gioco), dove regole e interazioni si ristrutturano all’interno di un dato contesto sociale (Bureau e Komporozos-Athanasiou, 2016).

Contamination-Lab dell’Università di Cagliari

I principi che abbiamo appena richiamato hanno costituito una base di partenza della riflessione che ha portato alla pianificazione e realizzazione del Contamination-Lab Unica, progetto di educazione imprenditoriale dell’Università degli Studi di Cagliari. Ispirandoci all’esperienza di Pittaway e Cope (2007), il percorso cerca di promuovere alcune delle sfide che caratterizzano il processo di creazione di impresa, come l’identificazione delle opportunità e una prima realizzazione del prototipo/servizio che ne dimostri la fattibilità. In questo processo si dà enfasi al lavoro in team e al feedback tra pari come strumenti di contaminazione, destrutturazione delle idee e miglioramento delle capacità di comunicazione dell’idea di impresa. Rispetto ai processi di apprendimento messi in atto, è l’aspetto della generazione di nuove risorse che costituisce l’elemento più importante sul piano individuale. I partecipanti diventano consapevoli di avere un bagaglio di risorse personali che consente loro di superare difficoltà, di acquisire una visione più positiva del proprio futuro e di ragionare in modo imprenditoriale.

L’educazione imprenditoriale funziona davvero?

Un tema centrale dell’entrepreneurship education è la sua valutazione. Ricorre spesso, infatti, la domanda se le attuali attività di insegnamento siano in grado di stimolare effetti di natura imprenditoriale nei partecipanti, e quali siano questi effetti.

Le esperienze di valutazione sono orientate prevalentemente a cogliere il mindset imprenditoriale. L’intenzione imprenditoriale è una delle dimensioni più indagate, ed è spesso intesa come scelta ad una carriera autonoma, come intenzione di creare una propria impresa in un futuro prossimo, o come intenzione di valorizzare una specifica idea di impresa.

In generale, si riscontra una relazione positiva tra percorsi di formazione imprenditoriale e intenzioni imprenditoriali (Martin, McNally, and Kay, 2013). Vi è, però, ancora un alto grado di inconsistenza tra i diversi risultati. Una delle ragioni della discordanza tra studi è che gli effetti variano in funzione delle caratteristiche in ingresso dei partecipanti, dal tipo di attività formative messe in atto, e dal contesto culturale nel quale l’attività viene realizzata. Il livello di intenzione imprenditoriale all’inizio del percorso, per esempio, influisce sull’intenzione che si registra alla fine del percorso. È più probabile che i partecipanti con una bassa intenzione imprenditoriale all’inizio dell’attività incrementino la loro intenzione imprenditoriale alla fine del corso, rispetto a chi ha già un’alta intenzione imprenditoriale. I percorsi incentrati sul business education (che pongono l’accento sullo sviluppo delle sole competenze tecniche) non hanno alcun impatto sul mindset imprenditoriale, mentre approcci più vicini all’entrepreneurship education hanno in genere un effetto maggiore. Infine, in contesti culturali collettivisti, caratterizzati da bassa parità di genere e restii al rischio, i percorsi di entrepreneurship education sortiscono effetti particolarmente positivi sulle intenzioni imprenditoriali degli studenti (Bae, Qian, Miao, & Fiet, 2014; Fayolle e Gailly, 2015). Un effetto interessante dell’entrepreneuship education è quello di neutralizzare alcune delle differenze in ingresso tra i partecipanti. L’esempio più importante, al riguardo, si riferisce alle differenze di genere. La tendenza delle donne, rispetto agli uomini, è quella di  percepirsi meno capaci di svolgere compiti di natura imprenditoriale. Tuttavia, alla fine dei percorsi di entrepreneurship education è stato possibile osservare la scomparsa di tali differenze, portando uomini e donne a percepirsi entrambi in grado di svolgere attività imprenditoriali (Wilson, Kickul, & Marlino, 2007).

Spunti per un’educazione imprenditoriale consapevole

Tra i tanti fronti ancora aperti sul tema della educazione all’imprenditorialità, riteniamo utile soffermarci su alcune domande che potrebbero stimolare la riflessione, e porre le basi per una pratica più consapevole.

La prima domanda fa riferimento a quanti tipi di entrepreneurship education conosciamo e possiamo sviluppare. Sarebbe importante, per esempio,  conoscere a fondo le aspettative riposte su tali tipi di intervento dai diversi portatori di interesse. Un recente studio (Lindh e Thorgren, 2016) ha mostrato che i territori partecipano, attraverso documenti strategici e programmi di intervento, alla definizione di cosa sia l’entrepreneurship education in un dato contesto. Queste rappresentazioni contribuiscono a definire obiettivi e aspettative in termini di risultati. Si scopre che l’entrepreneurship education non è solo indicata come intervento volto a generare occupazione, ma come intervento orientato a rendere le persone più autonome e in grado di gestire pienamente le proprie aspirazioni di carriera e di vita. Nel primo caso, l’imprenditorialità non è importante in quanto tale, ma è secondaria alla necessità di creare un qualche tipo di occupazione. Nel secondo caso, il territorio scommette sulle capacità che le persone formate avranno di arricchire l’esistente, aspettandosi come ritorno la creazione di nuovi scenari. Questo avviene in territori dove l’imprenditorialità fa parte della vita quotidiana delle persone e dove è già alta la motivazione imprenditoriale.

La seconda domanda fa riferimento a come implementiamo i percorsi di educazione imprenditoriale. Data la complessità del fenomeno, è evidente che non possa esistere una risposta univoca. Tuttavia, si osserva un’applicazione acritica di percorsi incentrati sull’approccio esperienziale. In realtà ci sarebbe ampio spazio per la sperimentazione a partire da una profonda analisi dei processi chiave di apprendimento che si vorrebbe sostenere e stimolare. Sappiamo ancora poco su quali scintille tali percorsi possano accendere e quali tipi di riflessione permettano  di maturare nei partecipanti.  Questa domanda apre la porta ad un nuovo tema, ancora poco esplorato, dell’apprendimento imprenditoriale visto come opportunità di conoscere e approfondire il processo di sviluppo e acquisizione di consapevolezza dell’imprenditore. La domanda che qui ci poniamo è come possiamo utilizzare ciò che gli imprenditori hanno compreso del processo imprenditoriale per sviluppare percorsi di educazione imprenditoriale sempre più efficaci.

L’ultima domanda fa riferimento a cosa e al come valutare i percorsi di entrepreneurship education. La carenza di una chiara definizione di cosa si voglia ottenere con tali percorsi rende difficile individuare cosa sia necessario valutare per comprenderne l’efficacia. Se si assume che l’entrepreneurship education è lo sviluppo di un mindset imprenditoriale, la creazione di impresa è solo un mezzo che permette di sviluppare quelle skills che potranno generare nuovo apprendimento in contesti diversi da quelli della formazione. In tale scenario, invece, l’obiettivo diventa quello di formare persone che saranno in grado di generare innovazione, creando e valorizzando nuove opportunità, anche di intrapreneurship (creazione di impresa dentro contesti organizzativi). L’assunto di fondo a questa prospettiva è che chi ha provato a creare impresa almeno una volta ha una maggiore probabilità di creare nuove imprese di successo in futuro.

Tuttavia, occorre avviare una profonda riflessione sulla moltitudine di obiettivi che è possibile raggiungere attraverso i percorsi di educazione imprenditoriale. La riflessione va orientata verso una maggiore comprensione del legame che intercorre tra il target del programma, l’obiettivo che si vuole raggiungere e il conseguente percorso formativo. Una possibile classificazione degli obiettivi potrebbe permettere l’individuazione di differenti tipi di percorsi, che restano in interconnessione tra loro. Una tipologia potrebbe essere orientata a diffondere la cultura e il mindset imprenditoriale; un’altra potrebbe essere orientata allo sviluppo di skills (lavoro collaborativo, risoluzione di problemi) che si ritiene siano chiave per un percorso di creazione e sviluppo di impresa; un’altra tipologia è la creazione di impresa vera e propria.

Chi lavora da tempo sui temi dell’imprenditorialità e dell’educazione imprenditoriale ha recentemente richiamato l’attenzione della comunità sulla necessità di adottare un approccio più critico allo studio dei processi imprenditoriali. Questo significa che vi è ampio spazio per domande che indaghino sugli aspetti teorico-pratici sui quali ci stiamo basando per formare nuovi imprenditori o persone imprenditive.

Riferimenti bibliografici

Bae, T. J., Qian, S., Miao, C., & Fiet, J. O. (2014). The Relationship Between Entrepreneurship Education and Entrepreneurial Intentions: A Meta-Analytic Review. Entrepreneurship Theory and Practice, 38(2), 217–254.

Bureau, S. P., & Komporozos-Athanasiou, A. (2016). Learning subversion in the business school: An “improbable” encounter. Management Learning.

DeTienne, D. R., & Chandler, G. N. (2004). Opportunity Identification and Its Role in the Entrepreneurial Classroom: A Pedagogical Approach and Empirical Test. Academy of Management Learning & Education, 3(3), 242–257.

Eurydice report (2016). Entrepreneurship Education at School in Europe – 2016 Edition. European Commission: (Ultimo accesso 8 Dicembre 2016) https://webgate.ec.europa.eu/fpfis/mwikis/eurydice/index.php/Publications:Entrepreneurship_Education_at_School_in_Europe_-_2016_Edition

Fayolle, A. (2013). Personal views on the future of entrepreneurship education. Entrepreneurship & Regional Development, 25(7-8), 692–701.

Fayolle, A., & Gailly, B. (2015). The impact of entrepreneurship education on entrepreneurial attitudes and intention: Hysteresis and persistence. Journal of Small Business Management, 53(1), 75–93.

Fiet, J. O. (2000). The theoretical side of teaching entrepreneurship. Journal of Business Venturing, 16, 1–24.

Gibb, A. (2002). In pursuit of a new entreprise and entrepreneurship paradigm for learning: Creative desctruction, new values, new ways of doing things and new combination of knowledge. International Journal of Management Reviews, 4(3), 233–269.

Haynie, J. M., Shepherd, D., Mosakowski, E., & Earley, P. C. (2010). A situated metacognitive model of the entrepreneurial mindset. Journal of Business Venturing, 25(2), 217–229.

Honig, B., & Approach, T. H. E. N. (2004). Entrepreneurship Education: Toward a Model of Contingency-Based Business Planning. Academy of Management Learning and Education, 3(3), 258–273.

Lindh, I., & Thorgren, S. (2016). Entrepreneurship education: the role of local business. Entrepreneurship & Regional Development, 28(5-6), 313–336.

Martin, B. C., McNally, J. J., & Kay, M. J. (2013). Examining the formation of human capital in entrepreneurship: A meta-analysis of entrepreneurship education outcomes. Journal of Business Venturing, 28(2), 211–224.

Pittaway, L., & Cope, J. (2007). Simulating entrepreneurial learning: Integrating experiential and collaborative approaches to learning. Management Learning, 38(2), 211–233.

Politis, D. (2005). The process of entrepreneurial learning: a conceptual framework. Entrepreneurship: Theory & Practice, 29(4), 399–424.

Shepherd, D. A. (2004). Educating Entrepreneurship Students About Emotion and Learning From Failure. Academy of Management Learning and Education, 3(3), 274–287.

Wilson, F., Kickul, J., & Marlino, D. (2007). Gender, Entrepreneurial Self-Efficacy, and Entrepreneurial Career Intentions: Implications for Entrepreneurship Education. Entrepreneurship Theory and Practice, (617), 387–406.

Autori

_

_

Ultimi articoli