Il performance management e lo sviluppo del capitale umano in un contesto di lavoro ibrido

L’investimento in capitale umano e lo sviluppo delle competenze nel lavoro ibrido

Secondo un recente report di ricerca Mckinsey (2023), l’investimento in capitale umano è premiante sia per i lavoratori che per le imprese.  Le skills apprese sul lavoro, infatti, contribuiscono quasi al 50% dei guadagni percepiti da una persona durante la propria carriera lavorativa. Inoltre, sviluppare le competenze dei dipendenti ripaga anche le imprese che vi investono con profitti costanti nel tempo, una maggiore resilienza di fronte a eventi critici e una capacità superiore di attrarre e trattenere le risorse umane. E questo perché, nonostante profitti elevati possano essere conseguiti, almeno nel breve periodo, anche da imprese che pur non investendo nello sviluppo del proprio capitale umano, sono molto orientate ai risultati, la sostenibilità nel lungo periodo e la capacità di affrontare crisi inaspettate, oltre che una gestione performance-driven, richiede la creazione di un contesto di lavoro che supporti collaborazione e innovazione dal basso e offra ai lavoratori opportunità di skill building, e quindi formazione, mobilità interna, avanzamenti di carriera, il tutto in un ambiente di lavoro ‘salutare’, nel senso di ben organizzato, inclusivo e con una leadership sfidante ma partecipativa.

Pertanto, investire in capitale umano per averne dei significativi ritorni anche in termini economico-finanziari implica non solo dare attenzione ai lavoratori – il rischio, focalizzandosi esclusivamente sulla dimensione ‘persone’ è quello di creare ambienti di lavoro positivi e soddisfacenti per i dipendenti, ma proco profittevoli in termini di innovazione dal basso e di performance conseguite – bensì promuovere contemporaneamente l’orientamento ai risultati e lo sviluppo delle competenze.

Una pratica che può consentire questo è il performance management, ossia il processo di valutazione e gestione della prestazione lavorativa, il quale può costituire uno strumento non solo di misurazione e controllo dei risultati, ma anche di monitoraggio e potenziamento delle competenze sia job-related che trasversali.

Del resto, nel lavoro ibrido del futuro (che è già presente), le competenze richieste non sono solo quelle ‘tradizionali’, cioè conoscenza e saper fare tecnico-specialistico, nel senso di strettamente legato al tipo di mansione svolta e all’area aziendale specifica nella quale tale lavoro si inserisce e quindi quelle tipiche che definiscono e danno identità a una specifica occupazione. Altrettanto, se non più rilevanti, diventano anche competenze nuove, cioè non tradizionali o tipiche della posizione o occupazione, come le capacità informatiche e digitali e le soft skills (Gianecchini, Dotto & Gubitta, 2022). Più specificatamente, “il lavoro ibrido combina e integra le competenze tecniche, gestionali, professionali o relazionali con le competenze informatiche e digitali, le conoscenze per comunicare nei social network, le abilità per interagire con altre persone attraverso la mediazione o l’uso di tecnologie digitali, gli orientamenti per svolgere in modo efficace la propria attività in ambienti di lavoro in cui lo spazio (fisico e sociale) e il tempo (aziendale e personale) assumono configurazioni diverse” (Gubitta, 2018: 3).

Tali competenze possono essere formate e sviluppate in tanti modi diversi, ma tra di essi certamente l’apprendimento on the job ossia l’esperienza lavorativa quotidiana, per cui il lavoro in sé e il contesto nel quale si svolge diventano esperienza formativa e contesto di apprendimento stimolato anche dalla trasmissione intergenerazionale, occupa un ruolo centrale (Gubitta, 2018).

È anche per questo che i sistemi di performance management – tradizionalmente intesi come strumento di valutazione di come il lavoratore svolge il proprio lavoro – possono essere (ri)letti e (re)interpretati come strumento a supporto dell’investimento in capitale umano da parte sia delle imprese che si stanno digitalizzando, sia dei lavoratori che stanno sperimentando l’ibridazione delle loro tradizionali attività lavorative con le nuove tecnologie digitali.  Ed è questo quello che l’articolo si propone di fare indagando come si configurano e stanno cambiando, nella percezione di imprese e dipendenti, e in un contesto di lavori ibridi, i sistemi di valutazione e gestione della prestazione.

L’articolo utilizza i dati raccolti dall’Osservatorio sul Performance[1] Management di Modena e Reggio Emilia su un campione di oltre 100 aziende e circa 600 lavoratori.

Prima di mostrare i risultati della ricerca empirica, si descrive brevemente l’evoluzione che i sistemi di performane management stanno avendo nella pratica, riportando sinteticamente anche il dibattito tra gli studiosi di management e HRM che ha accompagnato tale evoluzione.

All’analisi sui dati raccolti seguono alcune riflessioni conclusive e suggerimenti per la pratica.

L’evoluzione del performance management

Il processo di performance management include tutti quei sistemi orientati ad allineare le competenze e i comportamenti dei lavoratori agli obiettivi aziendali, attraverso l’esplicitazione delle responsabilità individuali e degli obiettivi attesi e la valutazione della prestazione lavorativa (DeNisi & Murphy, 2017).

Concepiti prevalentemente come strumenti di misurazione e controllo (performance appraisal), i sistemi di performance management tradizionalmente sono stati incentrati sulla valutazione annuale (o semestrale) dei livelli di prestazione, intesi sostanzialmente come comportamenti (legati ai task e/o al contesto) e risultati, e legati ai sistemi di ricompensa, tipicamente attraverso tecniche di management by objectives (MBO). Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, sia nel dibattito accademico che nella pratica, l’orientamento nei sistemi di performance management è cambiato (Cappelli & Tavis, 2016).

Infatti, nonostante alcune evidenze empiriche sulla relazione positiva tra l’impiego di questi tradizionali sistemi e la generazione e l’uso di nuove idee sul lavoro (Bos-Nehles, Renkema & Janssen, 2017), sostanzialmente motivato dall’effetto positivo su autonomia, self-efficacy, soddisfazione e commitment (Krampkkòtter, 2016; Gagnè & Deci, 2005),  un numero crescente di grandi aziende, leader nei loro settori, hanno cominciato a ritenere tali sistemi inappropriati (Schrøder-Hansen & Hansen 2022), in quanto incapaci di supportare i dipendenti nell’apprendere nuove  cose e nell’essere innovativi, cioè quelle meta-competenze che appaiono oggi essenziali in un contesto di continuo cambiamento, e in particolare di trasformazione in senso digitale del lavoro (Kiron & Spindel, 2019).

Più specificatamente, anche se alcuni studi pioneristici  hanno suggerito che in condizioni di lavoro digitale, il performance management dovrebbe assumere un forte orientamento al risultato (Chen & Nath 2008) e che i sistemi di MBO sono una determinante chiave della job satisfaction dei lavoratori digitali (Konradt et al., 2013), è stato altresì chiaramente rilevato come sistemi di valutazione della prestazione fortemente concentrati sui risultati di breve periodo (come sono tipicamente gli MBO), tendano a focalizzare l’attenzione dei dipendenti sul miglioramento incrementale dei metodi di lavoro già esistenti, ma non promuovano l’esplorazione di modalità innovative. Viceversa, sistemi di performance management incentrati su conoscenza e competenze incoraggiano maggiormente creatività e innovazione (Sanders et al., 2018) e apprendimento informale (Bendnall, Sanders & Runhaar, 2014), quindi, non stupisce che le aziende in misura crescente si concentrino (anche) sulle skills esibite dai lavoratori durante l’esecuzione dei propri compiti lavorativi (Pulakos & O’Leary, 2011).

Peraltro, oltre alla revisione (o ampliamento) dei criteri di valutazione e quindi dell’oggetto della misurazione e del controllo –  non solo risultati (operativi e/o economico-finanziari) e comportamenti (ore di presenza, lavoro straordinario, comportamenti task-related), ma anche competenze – gli studi sull’evoluzione dei sistemi di performance, anche e soprattutto riferiti a remote workers, a organizzazioni virtuali e/o che stanno attraversando la digitalizzazione (es. Schrøder-Hansen & Hansen, 2022; Schwarzmùller e al. 2018), hanno sottolineato la rilevanza del coinvolgimento dei dipendenti nella definizione degli obiettivi da raggiungere, di feedback costanti e informali, anche attraverso forme di valutazione a 360° e, conseguentemente, la finalità di sviluppo (developmental purpose) che i sistemi di performance management stanno tendenzialmente acquisendo nella pratica.

Tutto ciò premesso, sono diverse le call (es. Brown et al., 2019) che invitano ad approfondire sia dal punto di vista teorico che empirico il tema del PM, soprattutto in relazione alle sfide che la trasformazione digitale pone all’organizzazione del lavoro, alla leadership e alla gestione delle risorse umane (Hanelt et al., 2021; Schwarzmùller et al., 2018), non solo in ambito manifatturiero (Amladi, 2017), bensì in tutti i settori (Gubitta, 2018).

In tal senso, un contributo arriva dall’indagine periodica dell’Osservatorio sul Performance Management di Modena e Reggio Emilia, di cui il prossimo paragrafo riporta i risultati principali riferiti all’ultima edizione.

L’indagine empirica sul performance management in Italia

Al fine di comprendere meglio come il performance management si possa configurare in un contesto di lavoro digitale e capire se e come promuova l’investimento in capitale umano “ibrido”, ossia lo sviluppo di competenze che non siano solo quelle tradizionali/tipiche, si analizzano i dati raccolti attraverso la somministrazione di due questionari. Il primo è rivolto a un campione di imprese (i cui rispondenti sono manager o direttori della funzione HR) ed è finalizzato ad acquisire informazioni sulle principali caratteristiche dei sistemi di performance management adottati dalle aziende rispondenti. L’altro è destinato a lavoratori dipendenti ed è volto a rilevare le loro percezioni sulle pratiche di valutazione della prestazione lavorativa di cui sono destinatari nell’impresa per la quale lavorano. 

Nello specifico, i dati raccolti tra giugno e luglio 2022 si riferiscono a 108 imprese e 594 dipendenti del settore privato in Italia.

Le principali caratteristiche dei rispondenti sono riportate, rispettivamente, nella Tabella 1 e nella Tabella 2.

Tabella 1 – Caratteristiche generali imprese ed imprese digitali

 IMPRESE TOTALI CON SPM N. 108IMPRESE DIGITALIZZATE N. 71 (65,74%)
 Frequenze%FrequenzeDimensione
SETTORE    
Manifattura5450.003650.70
Servizi4945.403346.78
Costruzioni54.6022.82
DIMENSIONE    
Piccola (<=50 dipendenti)54.6045.63
Media (51 – <=250 dipendenti)7367.605070.00
Grande (> 250 dipendenti)3027.801723.94

La maggior parte delle aziende rispondenti sono multinazionali italiane con filiali all’estero, di medie o grandi dimensioni (con un numero di occupati fino o superiore a 250 dipendenti), operanti nel settore manifatturiero (una su due) e in quello dei servizi (circa il 45%). Circa 7 aziende su dieci   si possono definire digitalizzate in quanto dichiarano di aver adottato tecnologie digitali come big data, analytics, cloud computing, social media, Internet of Things con un impatto rilevante sull’organizzazione e i processi di lavoro, la strategia e i modelli di business aziendali. Di queste imprese, circa la metà opera nel settore manifatturiero, il 47% in quello dei servizi e solo il 3% circa nel settore delle costruzioni.

Per quanto riguarda i lavoratori, la maggior parte dei rispondenti sono uomini, inquadrati come impiegati, con un contratto a tempo indeterminato. Oltre la metà ha un livello di istruzione elevato (laurea magistrale o dottorato), un’età compresa tra i 35 e i 49 anni e un’anzianità aziendale tra i 6 e i 10 anni o superiore. Inoltre, tutti i rispondenti dichiarano di utilizzare abitualmente dispositivi digitali (quali smartphone, tablet, laptop, social media, embedded devices) per svolgere il proprio lavoro nell’ambito di aree di attività note e consolidate, che tendono quindi a ibridarsi nel contenuto e nelle competenze richieste.

Tabella 2 – Caratteristiche generali lavoratori

 LAVORATORI N. 594
 Frequenze%
INQUADRAMENTO  
Dirigente589.76
Impiegato35259.26
Operaio40.67
Quadro18030.30
AREE FUNZIONALI  
Logistica254.21
Attività di supporto17329.12
R&S7612.79
Vendite17128.79
Servizi12420.88
Operations254.21
SETTORE  
Manifattura25943.60
Servizi31953.70
Altro162.70
DIMENSIONE AZIENDA DI APPARTENENZA  
Piccola (<=50 dipendenti)7913.30
Media (51 – <=250 dipendenti)13122.05
Grande (> 250 dipendenti)38464.65

Ai fini della presente analisi, sono state prese in considerazione le risposte date sia dalle aziende che dai lavoratori alle domande relative ai seguenti aspetti dei sistemi di performance management (da qui in avanti SPM):

  • i criteri in base ai quali sono definite le aspettative di performance ed è valutata la prestazione dei lavoratori e, in particolare, se e in che misura il SPM consideri le competenze richieste dalla posizione ricoperta e/o soft skills (es. capacità di lavorare in team, collaborazione, flessibilità, proattività) e competenze nuove, non previste dalla job description;
  • il processo di definizione delle aspettative di performance e nello specifico se e in che misura i dipendenti siano coinvolti in tale processo;
  • la frequenza, la fonte e la modalità di restituzione della valutazione della performance, e in particolare l’eventuale utilizzo di feedback continui e a 360 gradi;
  • l’esplicita funzione di sviluppo del performance management, ovvero se il SPM costituisca la base per la definizione di percorsi formativi e/o di carriera.

Con riferimento al primo aspetto qualificante un SPM orientato allo sviluppo di competenze ibride, (ossia la considerazione  non solo di competenze tecnico-specialistiche di ruolo  ma anche di competenze non specificatamente richieste dalla job description)dala nostra indagine, è emerso che una percentuale rilevante di HR manager dichiara che il SPM adottato nella sua azienda considera le competenze di ruolo espresse/agite dai lavoratori (91%), le soft skills (93%) e lo sviluppo di nuove competenze, non previste dalla job description (77%) quali criteri prioritari di valutazione della prestazione. Tra le aziende maggiormente digitalizzate, altrettanto numerose sono quelle che ritengono rilevante valutare le competenze di ruolo (90%), ma al contempo più elevata è la percentuale di quelle che valutano le soft skills (96%) e le nuove competenze sviluppate dai lavoratori al di là di quanto richiesto dalla posizione (80%).

Dall’altra parte, la maggior parte dei lavoratori dichiara che la valutazione della propria prestazione lavorativa verte prevalentemente sulle competenze di ruolo agite/esibite (71%) e/o su caratteristiche personali o della personalità (60% circa), ma meno di 1 lavoratore su 2 ritiene che lo sviluppo e l’acquisizione di nuove competenze sia un criterio di valutazione altrettanto rilevante.

Passando a considerare il coinvolgimento dei soggetti valutati nella definizione degli obiettivi e delle aspettative di performance, osserviamo che più del 60% degli HR manager, sia in imprese digitalizzate che in quelle che lo sono meno, e dei lavoratori dichiarano che tale elemento caratterizza il SPM in uso in azienda.

Analogamente, oltre il 60% delle imprese, sia digitalizzate che meno digitalizzate, e dei lavoratori segnalano che feedback costruttivi, e cioè informali, oggettivi, accurati, centrati sui punti di forza del soggetto valutato e sull’elaborazione di strategie di risoluzione dei problemi sono un aspetto centrale dei SPM utilizzati.

Comparativamente meno diffuso appare il ricorso al feedback a 360 gradi. In media, meno di 3 imprese su 10 lo adottano. La percentuale sale leggermente se consideriamo le imprese digitalizzate (32%). Dall’altra parte, solo il 26 % dei lavoratori fruisce di questa tecnica di valutazione.

Inoltre, mentre il 52% dei lavoratori dichiara di ricevere feedback costanti e frequenti sulla propria prestazione lavorativa, solo il 6% delle imprese, sia digitalizzate che meno digitalizzate, adotta forme di continuous feedback.

Considerando, infine, il collegamento con le politiche di sviluppo. Sia tra le imprese digitalizzate, che tra quelle che lo sono meno, quasi la metà degli HR manager afferma che la valutazione della prestazione costituisce la base per la definizione di percorsi formativi e di carriera. Sollecitati ad esprimere un giudizio conclusivo, circa l’81% degli HR manager ritiene che il SPM adottato in azienda sia efficace nel favorire lo sviluppo delle competenze richieste dall’organizzazione. Il grado di soddisfazione è leggermente più elevato tra gli HR manager operanti in imprese digitalizzate (85%).

Sul versante dei lavoratori, invece, solo una minoranza percepisce che la valutazione della propria prestazione sia collegata alla definizione di percorsi di formazione (5%) o di carriera (15%). Meno di un rispondente su due ritiene che le pratiche di valutazione della prestazione lavorativa utilizzate in azienda favoriscano l’apprendimento.

Tabella 3 – Aspetti del SPM

 IMPRESE TOTALIIMPRESE DIGITALI LAVORATORI DIGITALI
Dimensioni del SPMFrequenze%Frequenze% Frequenze%
OGGETTO       
Competenze  tecniche di ruolo9890.746490.14 42070.71
Nuove competenze sviluppate8376.855780.28 26544.61
Soft skills10092.596895.77Caratteristiche personali/della personalità36561.45
PROCESSO       
Fb a 360°2926.902332.39 15626.26
Continuous Fb65.5545.63 31052.19
Fb Costruttivo6661.114563.38 37262.63
Partecipazione alla definizione degli obiettivi6862.964664.79 37262.63
FINALITA’       
Carriera5147.223346.79 8814.82
Formazione5147.223447.89 325.39
EFFICACIA SPM       
Sviluppo delle competenze8881.486084.51 27245.79

Riflessioni finali e spunti manageriali

Il nostro studio mostra che, da un lato, le imprese in Italia, soprattutto quelle maggiormente digitalizzate, stanno progressivamente adottando SPM orientati allo sviluppo del capitale umano e in particolare delle competenze richieste dalla crescente ibridazione del lavoro generata dal processo di trasformazione digitale dello stesso. La maggioranza considera prioritario valutare oltre che le competenze di ruolo agite/esibite, anche quelle trasversali e le competenze “nuove” sviluppate dai lavoratori, non specificatamente richieste dalla posizione ricoperta. Molte di esse stanno, inoltre, rivedendo i processi di definizione degli obiettivi – coinvolgendo i soggetti valutati – e le modalità di restituzione dei risultati della valutazione – adottando feedback informali e costruttivi – e collegano saldamente la fase della valutazione con la programmazione dei percorsi formativi e di carriera.

Dall’altro lato, però, le percezioni degli HR manager non sembrano sempre in linea con quanto riportato dai lavoratori partecipanti all’indagine. Nell’interpretazione della maggior parte dei soggetti coinvolti in lavori che si stanno ibridando, infatti, il SPM utilizzando nella propria azienda è ancora prioritariamente orientato a misurare e controllare le competenze di ruolo agite/esibite e a valorizzarle più con la leva monetaria che con quella formativa e di sviluppo.

Ciò rimanda ad una questione che da sempre pervade l’implementazione dei sistemi di gestione delle risorse umane, e in quanto tale è bene intercettata dalla nostra indagine, quella del gap tra caratteristiche “oggettive” (quelle definite dagli HR manager in sede di progettazione e adozione) e “percepite” (quelle effettivamente ‘vissute’ dagli utilizzatori finali) (Wang et al., 2020). Questo divario ha implicazioni rilevanti perché, come sottolineano autorevoli studiosi, anche i sistemi di performance management meglio progettati e adottati rischiano di non produrre i risultati desiderati se i destinatari finali non li percepiscono in maniera coerente e unitaria (Bednall, Sanders & Runhaar, 2014; Bowen & Ostroff, 2004). Ne deriva che la valutazione e il governo continui del co-allineamento tra pratiche “progettate”, “adottate” ed “effettivamente utilizzate” sono una condizione essenziale per garantire l’efficacia di nuovi, o diversamente configurati, sistemi di performance management e la loro capacità di fornire risposte adeguate alla domanda di nuove competenze che accompagna la crescente diffusione del lavoro ibrido.

Attingendo dalla letteratura, proviamo quindi a delineare, in conclusione, alcune indicazioni generali che possano essere di ausilio ai manager nel governo del citato processo di co-allineamento, contribuendo così all’efficacia del performance management come strumento a supporto dell’investimento in capitale umano.

Sottolineiamo innanzitutto la necessità di un supporto significativo, costante e chiaramente visibile da parte del top management al fine di conferire legittimità e credibilità alla funzione HR e all’introduzione dei nuovi sistemi di gestione e valutazione della prestazione lavorativa.

Altrettanto importante è una comunicazione chiara circa i diversi aspetti e la finalità del performance management, ovvero l’obiettivo complessivo che l’azienda si propone di conseguire con il suo utilizzo. Ciò è particolarmente opportuno laddove l’impresa non intervenga simultaneamente su tutti gli elementi del processo di valutazione e  gestione della prestazione lavorativa, come in effetti sembra accadere in molti casi da noi osservati in cui la ridefinizione dei criteri di valutazione non è ancora accompagnata dalla contestuale, coerente ridefinizione degli altri aspetti qualificanti un performance management orientato allo sviluppo, quali il coinvolgimento del soggetto valutato nella definizione degli obiettivi, il ricorso a feedback costruttivi, a 360 gradi, continui e il collegamento tra la fase di valutazione della prestazione e la definizione di percorsi di formazione e carriera. Ciò può riflettere la scelta consapevole dell’azienda di optare per una logica di progressività nell’attuazione degli interventi, che è spesso una buona norma da seguire nei processi di cambiamento di vasta portata. D’altra parte, però, rischia di veicolare messaggi contraddittori, riducendo la comprensibilità del sistema di performance management da parte dei manager di linea, team leader e lavoratori o, peggio, inducendo questi a percepire i vari elementi come incoerenti tra loro e/o complessivamente incoerenti con le finalità dichiarate del processo di valutazione e gestione della prestazione lavorativa. Comunicare in maniera chiara il programma di attuazione degli interventi, la sua ratio e le ragioni che ne sono alla base, è quindi, importante perché può contribuire a ridurre questo pericolo.

In terzo luogo, è necessario garantire che manager di linea, team leader, ma anche, in un’ottica di feedback a 360 gradi, colleghi e collaboratori abbiano le conoscenze, skills e abilità per fornire feedback adeguati sulla prestazione lavorativa; l’opportunità, e cioè un’adeguata disponibilità di tempo da dedicare a questa attività e siano motivati a considerare tale attività come parte integrante del proprio ruolo. Ciò, per esempio, può essere ottenuto legando la valutazione e le politiche di incentivazione di queste figure anche alla qualità del loro contributo al processo di performance management (es. chiarezza dei criteri di valutazione, frequenza, accuratezza e attenzione alla funzione di sviluppo del feedback).

Infine, potrebbe essere opportuno coinvolgere maggiormente gli utilizzatori finali nel processo di implementazione, già a partire dalla fase di progettazione e adozione dei nuovi o diversamente configurati sistemi di performance management. Ciò permetterebbe di tener conto da subito dei saperi esperti prodotti dai soggetti operanti nei singoli processi di lavoro e valorizzare la conoscenza diffusa entro l’organizzazione. Inoltre, un coinvolgimento attivo degli utilizzatori finali permetterebbe di aumentare la percezione di equità e trasparenza del performance management, che la letteratura considera quali condizione essenziali per la sua accettazione ed efficacia.

Bibliografia

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[1] L’Osservatorio sul Performance Management è un programma di ricerca avviato nel 2017 dalla Fondazione Marco Biagi in sinergia con il Dipartimento di Economia Marco Biagi e la Scuola di Dottorato E4E (Engineering for Economics/ Economics for Engineering) dell’Università di Modena e Reggio Emilia. L’obiettivo principale è l’analisi interdisciplinare dei sistemi di performance management in uso nelle aziende italiane, ipotizzando che questi ultimi offrano un punto di osservazione privilegiato per comprendere le caratteristiche delle nuove modalità di svolgimento della prestazione implicate dalla progressiva trasformazione digitale del lavoro. Con cadenza biennale, l’Osservatorio conduce in Italia un’indagine “bifocale” mediante la somministrazione online di due questionari, uno rivolto alle imprese e l’altro ai lavoratori dipendenti. 

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