Gli spazi collaborativi come luoghi di supporto ai lavoratori di fronte alle trasformazioni del lavoro

Introduzione

Il sempre maggiore grado di flessibilità e di virtualizzazione del lavoro ha portato alla nascita di nuove professioni e di nuovi modi di lavorare che richiedono nuove competenze (“ibride”) date dall’integrazione di competenze tecniche, gestionali e relazionali tradizionali – cioè legate al saper fare tecnico-specialistico relativo al tipo di mansione e professione svolta e/o all’area aziendale nella quale si lavora –  con nuove competenze, quali le capacità informatiche e digitali (Gianecchini, Dotto & Gubitta, 2022). La rilevanza di queste ultime è stata certamente influenzata dall’ evoluzione delle tecnologie e dalla diffusione del Covid-19 (Fletcher & Thornton, 2023) che hanno imposto a tutti noi di lavorare in modo diverso. In particolare, sta diventando sempre più critica la capacità di svolgere, in maniera efficace, la propria attività lavorativa secondo tempi flessibili e in luoghi diversi da quello tradizionale aziendale. Molti nuovi lavori ibridi si svolgono in luoghi diversi dal classico ufficio: ad esempio da casa, ma anche da “luoghi terzi” quali gli spazi collaborativi. quest’ultimo rappresenta un fenomeno eterogeneo e ancora in evoluzione, che fa riferimento a realtà quali coworking (che ne costituiscono la categoria più rappresentativa), fab-lab, incubatori e hub creativi e culturali (Montanari et al., 2020). Negli ultimi anni gli spazi collaborativi sono proliferati accogliendo professionisti di diverso tipo: freelance, piccoli imprenditori e lavoratori dipendenti in remote working, attivi nel mondo delle industrie creative e del digitale. Se è evidente che gli spazi collaborativi rappresentano un luogo in cui i propri utenti possano riscontrare vantaggi professionali quali la condivisione di spazi e servizi, la creazione di un network professionale, la possibilità di sviluppare collaborazioni (Clifton et al., 2022; Garrett et al., 2017), bisogna evidenziare come essi rappresentino anche un potenziale luogo di sviluppo di competenze sia per le comunità professionali che vengono ospitate da tali spazi, sia della comunità locale in cui lo spazio si colloca, divenendo spesso luoghi di alfabetizzazione digitale e forieri di innovazione sociale (Gandini, Cossu, 2021; Scapolan et al., 2022). In questo articolo, cercheremo di illustrare il ruolo che gli spazi collaborativi possono svolgere nello sviluppo del capitale umano attraverso lo sviluppo e la valorizzazione di competenze ibride.

Gli spazi collaborativi in Italia: nascita ed evoluzione

I primi spazi collaborativi hanno iniziato a diffondersi all’inizio degli anni 2000 negli Stati Uniti, in particolare nella zona di San Francisco, per ospitare freelance, piccoli imprenditori e knowledge worker (Spinuzzi, 2012). Sin dall’inizio questi spazi di lavoro sono stati concepiti come spazi ibridi ossia come luoghi che offrissero sia la possibilità di lavorare accedendo a risorse fisiche e tecnologiche condivise, sia l’opportunità di fare networking con altri professionisti. Gli spazi collaborativi, infatti, generalmente ospitano persone con background formativi e professionali diversi che svolgono le proprie attività lavorative condividendo servizi e risorse (dalla scrivania, alla rete wi-fi, alle aree relax) senza necessariamente lavorare per lo stesso datore di lavoro o per un progetto comune (Capdevila, 2015; Garrett et al. 2017). Gli spazi collaborativi sono realtà molto diverse per vocazione (più o meno business oriented), per tipo di utenti (più o meno specializzati in un’industria), per governance (pubblici, privati e misti) e per attività svolte (dal mero affitto spazi di lavoro all’organizzazione di eventi), ma accomunate da un forte ethos collaborativo che spesso si traduce in un’atmosfera favorevole allo sviluppo di processi creativi, in opportunità di networking professionale e in un senso di comunità per chi li frequenta (Clifton et al., 2022; Garrett et al., 2017).

Questi spazi di lavoro sono principalmente popolati da professionisti e imprese che operano nei settori dell’economia digitale e offrono servizi diretti a questi utenti; tuttavia, sempre più frequentemente, questi luoghi sono frequentati da studenti, cittadini e innovatori sociali (Capdevila, 2015; Clifton et al., 2022; Montanari et al., 2020). In tal senso, gli spazi collaborativi si stanno configurando sempre più come luoghi che intercettano sia la trasformazione del mondo del lavoro sia un insieme di esigenze di carattere sociale riconducibili a più ampie trasformazioni socio-economiche che si sono manifestate negli ultimi decenni e che sono state accelerate dalla pandemia – tra cui, ad esempio, l’aumentata precarietà lavorativa, la necessità di accedere a infrastrutture digitali e la crisi dei tradizionali sistemi di welfare (Avdikos & Pettas, 2021; Gandini & Cossu, 2021; Rodighiero et al., 2022). È inoltre un dato di fatto che tali spazi sono divenuti luoghi di lavoro interessanti anche per le imprese che, sempre più diffusamente, decidono di dislocare i propri dipendenti negli spazi collaborativi, sia a sostegno di pratiche di remote working, sia per sviluppare vere e proprie strategie di open innovation.È infatti ormai consolidata l’idea che in questi spazi, grazie a un ambiente di lavoro esteticamente piacevole, informale e capace di favorire l’interazione, le persone sviluppino relazioni, condividano idee e imparino dagli altri, arrivando spesso a ideare e sviluppare progetti condivisi (Bouncken & Reuschl, 2018). Gli spazi collaborativi in Italia hanno visto una rapida diffusione. Se nel 2017 vi erano circa 770 spazi (soprattutto coworking), ad oggi in Italia ve ne sono 1.125 (dato aggiornato a febbraio 2023[1]) e costituiscono un fenomeno pervasivo e di grande attualità, ma al tempo stesso molto complesso e articolato. Questi spazi sono presenti in maniera consistente nelle regioni del centro e del nord e in modo non trascurabile anche in quelle del sud. In alcune regioni (ad esempio, in Lazio e Lombardia) la maggior parte degli spazi si concentra nei capoluoghi di regione, in altre invece (ad esempio, Veneto ed Emilia-Romagna) sono maggiormente distribuiti sul territorio e presenti anche nei piccoli comuni di provincia, spesso in aree che per lungo tempo sono state sede di distretti industriali. Molti spazi collaborativi in queste zone nascono, infatti, da processi di rigenerazione urbana e sociale proprio con l’obiettivo di valorizzare edifici vuoti legati all’eredità industriale del territorio.

I motivi di una rapida diffusione degli spazi collaborativi sono vari. In primo luogo, lo sviluppo dell’economia della conoscenza e l’evoluzione tecnologica hanno contribuito a un significativo incremento delle persone che lavorano in modo autonomo, e/o che sono solo temporaneamente affiliate ad aziende (Montanari, Scapolan & Leone, 2019) e svolgono la propria attività in remote working[2]. Gli spazi collaborativi in Italia ospitano persone con un’età media inferiore ai 40 anni, con un livello di istruzione elevato, prevalentemente liberi professionisti o giovani con contratti di collaborazione, ma una percentuale rilevante comprende anche lavoratori dipendenti di imprese che hanno deciso di spostare (o aprire) la propria sede in questi spazi e/o che lavorano da remoto. Inoltre, dal punto di vista del profilo professionale dei frequentatori di questi spazi, un elemento comune e trasversale in tutto il territorio nazionale riguarda l’affiliazione a industrie creative, culturali e digitali (molti unteti sono designer, architetti, ingegneri, ma anche giornalisti, videomaker, ricercatore, programmatori e sviluppatori) e il fatto di svolgere lavori dal contenuto intrinsecamente molto motivante e con elevati livelli di autonomia e flessibilità.

Le funzioni svolte dagli spazi collaborativi

Sulla base delle evidenze empiriche raccolte in Italia[3], è possibile affermare che non tutti gli spazi collaborativi sono uguali per tipo di funzione che svolgono e per tipo di supporto che offrono ai lavoratori che li frequentano (Scapolan et al., 2022).

Vi sono, innanzitutto, spazi collaborativi (coworking, fab-lab e makerspace) che svolgono una funzione che si può definire di “avviamento” alla professione in quanto rivolta a giovani (soprattutto del mondo digitale e di atri settori creativi) che si trovano nelle fasi iniziali della propria carriera. Per costoro, gli spazi collaborativi rappresentano, in primis, una soluzione logistica accessibile perché offrono una serie di risorse e servizi (postazioni di lavoro, Wi-Fi, attrezzature digitali, sale riunioni, attività di formazione e consulenza) a costi che, altrimenti, in quanto lavoratori autonomi all’inizio della carriera, questi lavoratori farebbero fatica a sostenere. In secondo luogo, gli spazi collaborativi rappresentano luoghi che possono stimolare la creatività e offrire occasioni di apprendimento e opportunità professionali, anche e soprattutto attraverso lo scambio informale che avviene tra gli utenti per prossimità.

Un’altra funzione, più di “supporto al cambiamento”, è quella rivolta a lavoratori più senior occupati in settori tradizionali e che stanno attraversando una fase di transizione professionale necessitando dunque di riformulare le proprie competenze e apprenderne delle nuove (ad esempio, perché stanno lasciando un posto fisso per una professione indipendente o stanno sperimentando il lavoro da remoto). Questa funzione è divenuta spesso prevalente dopo l’insorgenza della pandemia da Covid-19, quando molti spazi hanno lavorato come veri e propri helpdesk fornendo orientamento e supporto a quei lavoratori dipendenti che hanno iniziato a lavorare da casa e a cui mancavano risorse e competenze necessarie all’adattamento alla nuova modalità di lavoro, in primo luogo informatiche e digitali, (ad esempio, mancanza di una stampante o di una connessione veloce da casa o poca familiarità con software di videoconferenze), ma anche relative alla capacità di (ri)bilanciare ambito lavorativo ed extra-lavorativo.

Una terza funzione svolta dagli spazi collaborativi (soprattutto coworking, incubatori e acceleratori d’impresa) è quella di accogliere startupper e/o lavoratori autonomi con una certa esperienza del mondo del digitale e creativo per accelerarne i processi di crescita, apprendimento e l’affermazione professionale. Negli spazi che svolgono questa funzione, sono centrali i programmi che mirano a trasferire a giovani imprenditori o aspiranti tali il set di competenze, sia hard che soft, utili a fare impresa (Busacca & Scapolan, 2023). Questi programmi prevedono attività diverse (formazione, seminari, mentorship consulenza) finalizzate a trasferire conoscenze e capacità su temi vari (dallo sviluppo del prodotto al marketing digitale, dalla strategia di mercato alla finanza, dall’amministrazione e contabilità alla tecnologia). Altrettanto rilevante, in questi programmi, è l’attività di networking tra i frequentatori dello spazio e tra quest’ultimi e l’ecosistema esterno nel quale lo spazio è collocato, affidata non solo agli scambi informali tra utenti dello spazio, ma anche e soprattutto a eventi ed azioni ospitati nello spazio o deliberatamente organizzati e promossi dallo spazio stesso (Busacca & Scaplan, 2023).

Inoltre, ci sono due funzioni svolte principalmente da spazi collaborativi che hanno una gestione pubblica e/o sono fortemente supportati dalle istituzioni pubbliche locali. Nello specifico, ci sono spazi che accolgono i segmenti più fragili del mercato del lavoro, in particolare, lavoratori (soprattutto autonomi) con un basso livello di esperienza professionale e/o dall’elevata fragilità economica, ed esclusi dai sistemi di welfare (sia privati, sia pubblici). A questi lavoratori, gli spazi collaborativi rivolgono una funzione di ancoraggio, offrendo corsi di formazione volti rafforzare o a ibridare competenze tecniche professionali di tipo specialistico con competenze sia di tipo informatico e digitale, che relazionale. In secondo luogo, questi spazi aiutano i loro frequentatori a ridurre il rischio di isolamento professionale e personale, offrendo loro opportunità lavorative e di networking e maggiore legittimazione sul piano lavorativo e professionale. Infine, esistono spazi collaborativi (ad esempio, hub culturali e creativi) che svolgono una funzione che possiamo definire “comunitaria”, in quanto non solo accolgono al loro interno professionisti locali accumunati da un insieme di valori e da un’identità condivisa che va oltre l’ambito strettamente professionale, ma si rivolgono anche alla comunità locale in cui lo spazio è inserito, offrendo ai cittadini corsi di formazione (ad esempio per l’alfabetizzazione digitale), attività ludiche, ricreative e culturali. Spesso ispirati da una vocazione di innovazione sociale, questi spazi collaborativi e la comunità professionale che li popola coinvolgono la comunità locale (cittadini e lavoratori) in percorsi di co-progettazione che mirano a sviluppare competenze di cittadinanza attiva e a risolvere in modo originale bisogni collettivi, valorizzando e potenziando il capitale umano locale.

Conclusioni

Le diverse funzioni che gli spazi collaborativi svolgono per diverse categorie di lavoratori e cittadini suggeriscono il ruolo significativo che questi nuovi luoghi di lavoro possono giocare nei processi di formazione e sviluppo del capitale umano nel mondo del lavoro contemporaneo. Nati soprattutto come spazi delle grandi città e dedicati alla creatività e all’innovazione dei professionisti dell’IT, in realtà questi spazi si rivelano oggi come protagonisti delle più recenti trasformazioni del lavoro: immaterialità e digitalizzazione, da un lato, e incertezza, dall’altro. 

Di fronte a queste trasformazioni, gli spazi collaborativi possono aiutare i lavoratori contribuendo a sviluppare, sia pur con modalità diverse a seconda della loro tipologia, il capitale umano rafforzando conoscenze e capacità tradizionali, ma anche e soprattutto trasferendo competenze e soft skills utili in ambito digitale. Tali spazi, inoltre, concorrono alla formazione del cosiddetto capitale sociale, che può agire da amplificatore delle competenze individuali, favorendo processi di apprendimento e sviluppo, dinamiche di supporto e collaborazione, visibilità, legittimazione e opportunità concrete di lavoro e carriera.

Nel complesso tutto ciò concorre a ridurre l’incertezza che caratterizza non solo l’inizio o l’accelerazione di una professione o l’avvio di una start-up ma anche e soprattutto la “deviazione” dai tradizionali percorsi lavorativi soprattutto per quanto riguarda la transizione verso il lavoro ibrido. Pertanto, non stupisce il grande interesse che si sta sviluppando sulla valutazione del loro impatto sociale (Montanari, 2023) a fine di sviluppare indicazioni di performance che possono essere utili per i gestori degli spazi e che possono rappresentare strumenti di accountability verso i policy maker che da sempre li sostengono all’interno di politiche attive del lavoro, di rigenerazione urbana e, recentemente, di sviluppo di aree periferiche. 

Bibliografia

Avdikos V., Pettas D. (2021), “The new topologies of collaborative workspace assemblages between the market and the commons”, Geoforum, 121, pp. 44-52.

Bouncken, R. B., e Reuschl, A. J. (2018). Coworking-spaces: How a phenomenon of the sharing economy builds a novel trend for the workplace and for entrepreneurship. Review of Managerial Science, 12(1), 317–334.

Busacca, M., e Scapolan, A. C., (2023) Gli spazi collaborativi per l’imprenditorialità: riflessioni ed evidenze empiriche sul loro impatto in Montanari F. (a cura di). L’impatto sociale degli spazi collaborativi. Modelli, pratiche ed esperienze. Franco Angeli, in corso di pubblicazione.

Capdevila I. (2015), “Co-working spaces and the localised dynamics of innovation in Barcelona”, International Journal of Innovation Management, 19(3), pp. 1-25.

Clifton N., Füzi A., Loudon G. (2022), “Coworking in the digital economy: Context, motivations, and outcomes”, Futures, pp. 1-14.

Fletcher S., e Thornton, K.R.V. (2023) The Top 10 Soft Skills in Business Today Compared to 2012, Business and Professional Communication Quarterly, 1-16

Gandini A., Cossu A. (2021), “The third wave of coworking: ‘Neo-corporate’ model versus ‘resilient’ practice”, European Journal of Cultural Studies, 24(2), pp. 430-447.

Garrett L., Spreitzer G., Bacevice A. (2017), Co-constructing a sense of community at work: The emergence of community in coworking spaces, Organization Studies, 38(6), pp. 821-842.

Gianecchini, M., Dotto, S., & Gubitta, P. (2022). Shaping the Future of Work. In Do Machines Dream of Electric Workers? Understanding the Impact of Digital Technologies on Organizations and Innovation (pp. 67-83). Springer International Publishing.

Montanari, F. Scapolan, A.C., Mattarelli, E. (eds.) (2020) Collaborative spaces at work, Innovation, Creativity and Relations, Routledge

 Rodighiero, S., Montanari, F., & Scapolan, A. C. (2022). Gli spazi collaborativi in Italia: stato dell’arte e prospettive future. In Spazi collaborativi in azione. Creatività, innovazione e impatto sociale (pp. 23-46). FrancoAngeli.

Montanari, F; Scapolan, A.; Leone, L. (2019) Dai co-working agli spazi di collaborazione: come i nuovi luoghi di lavoro possono cambiare le aziende, Personale e Lavoro. – n.9(2019), pp. 31-35.

Montanari F., a cura di (2023). L’impatto sociale degli spazi collaborativi. Modelli, pratiche ed esperienze. Franco Angeli, in corso di pubblicazione.

Scapolan, A. C., Leone, L., Rodighiero, S., & Montanari, F. (2022). Spazi collaborativi a orientamento sociale. Funzioni e prospettive nella transizione del lavoro. Impresa Sociale, 4, 51-57.

Spinuzzi, C. (2012). Working alone together: Coworking as emergent collaborative activity. Journal of Business and Technical Communication, 26(4), 399–441.


[1] Dal 2017 l’Unità di Ricerca OPERA del Dipartimento di Comunicazione ed Economia di Reggio Emilia tiene aggiornata una mappatura degli spazi collaborativi in Italia a partire da dati provenienti da Italian Coworking, FabLabs.io, Lo Stato dei Luoghi, Trans Europe Halles, South Working. Tali dati vengono triangolati, ulteriormente verificati e integrati con informazioni ricavate direttamente tramite contatti telefonici o via email con i gestori degli spazi o con interviste o visite in loco.

Ad essere mappati sono: spazi di coworking, incubatori e acceleratori, fablab e makerspace, hub culturali e creativi, parchi scientifici e spazi ibridi (quest’ultimi sono spazi che al loro interno incorporano due o più tipi precedenti).

[2] Si vedano i dati raccolti negli ultimi anni dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, https://www.osservatori.net/it/ricerche/osservatori-attivi/smart-working

[3] L’unita di ricerca OPERA integra la mappatura degli spazi con indagini quantitative (questionari a campioni di frequentatori) e approfondimenti qualitativi (studi di caso condotti tramite interviste in profondità a fondatori, gestori, frequentatori e altri stakeholders).

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Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

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