Organizzarsi per un futuro sostenibile: quale sinergia tra resilienza e sostenibilità?

Introduzione

I concetti di sostenibilità e resilienza sono al centro del dibattito sociale, economico e politico contemporaneo. Questi termini, sempre più ricorrenti, rischiano tuttavia di essere banalizzati, utilizzati come buzzword dai significati ambigui, spesso contraddittori o fortemente conflittuali a seconda del contesto o delle parti che li evocano. Ma due domande paiono emergere da questa bagarre: si può rendere il sistema resiliente senza la sostenibilità? lo si può rendere sostenibile, senza essere resiliente?

Da un lato, c’è chi sostiene che si debba costruire resilienza senza sostenibilità. Si pensi allo slogan “drill, baby, drill“, ripreso di recente dal 47° Presidente degli Stati Uniti nel discorso inaugurale[1]. Questo richiamo a un’intensificazione dello sviluppo economico, con particolare enfasi sull’espansione del settore dei combustibili fossili, trascura la sostenibilità, e privilegia invece una visione di resilienza intesa come capacità di mantenere stabile e prospero un modello economico basato sulle risorse tradizionali. Già durante la campagna presidenziale, l’etichetta provocatoria “green new scam” (tradotto “nuova truffa green”) attribuita all’agenda climatica, rafforzava l’idea di un contrasto tra resilienza e sostenibilità, dipingendoli come due concetti inconciliabili.

Dall’altro lato, c’è chi invece sostiene che la sostenibilità sia la chiave della resilienza futura. A livello europeo, infatti, la Commissione promuove una visione in cui la sostenibilità non è solo una risposta necessaria alle pressioni climatiche, ma anche un fattore chiave per garantire la prosperità futura dell’economia. Nel discorso sullo Stato dell’Unione del 2023[2], è stato sottolineato che “modernizzazione e decarbonizzazione possono andare di pari passo,” evidenziando come il Green Deal europeo intenda integrare l’attenzione per l’ambiente con una resilienza economica e sociale collettiva di lungo termine. Le linee guida politiche per il mandato 2024-2029[3] della Presidente della nuova Commissione europea rafforzano questa tendenza, e le politiche green tendono ad essere presentate come parte del pacchetto delle politiche economiche e della sicurezza. Questa prospettiva, molto discussa nei mesi successivi la nomina della Presidente, presenta sostenibilità e resilienza non come concetti contrapposti, ma piuttosto come sinonimi che si rafforzano a vicenda.

Nonostante siano diametralmente opposte, entrambe queste visioni politiche riconoscono, per ragioni pratiche, economiche ed anche ideologiche (Sheffi, 2018), che la sostenibilità e la resilienza siano grand challenge, ossia questioni critiche per la società, che richiedono un importante sforzo per essere risolte, ma che, se affrontate con successo, porterebbero significativi benefici a livello globale (George et al., 2016).

Cosa significhi affrontare queste grand challenge con successo viene declinato agli antipodi.  Per il governo americano, per esempio, significa difendersi dalla sostenibilità che è una minaccia alla resilienza consolidata a livelli diversi nelle abitudini delle persone e in soggetti e attività economiche che rispondono a quelle abitudini, come ad esempio l’abitudine di spostarsi in macchina e l’industria dell’automotive. Questa visione vede sostenibilità e resilienza come contrapposte e tende spesso a negare, accantonare o trattare la sostenibilità come un’utopia, che, anche se raggiunta nel lunghissimo periodo, difficilmente riuscirebbe a perdurare. Per il governo europeo, invece, sostenibilità e resilienza sono parte dello stesso obiettivo futuro, anche se forse semplicisticamente intendono resilienza e sostenibilità come fortemente collegate e non paiono occuparsi di come la transizione avverrà, dei costi e dei soggetti su cui andrà a pesare. Con queste due posizioni così distanti, non c’è da stupirsi che il tema sostenibilità sia divenuto un tema di contrapposizione anche sociale, oltre che politica.

Sostenibilità e resilienza non sono argomenti nuovi nella letteratura organizzativa, che li ha esplorati ampiamente (es. Ortiz-de-Mandojiana & Bansal, 2016) e dove numerosi studiosi hanno riconosciuto l’importanza di riflettere su come organizzarsi per un futuro sostenibile (es. Howard-Grenville, 2021). Tuttavia, tale letteratura ha tipicamente affrontato questi due concetti separatamente, ignorandone l’interazione, o considerandoli quasi fossero appunto sinonimi, contribuendo poco a fornire elementi per politiche concrete e strategie organizzative che tengano conto della configurazione che combina resilienza e sostenibilità nella situazione di partenza delle organizzazioni e della società, dato che da questa situazione si deve partire per avviare la transizione verso una maggiore resilienza o sostenibilità o entrambe le cose. Vi è quindi una responsabilità anche da parte della letteratura di scienze sociali nella contrapposizione o sovrapposizione tra resilienza e sostenibilità rappresentata nel dibattito sociale e cavalcata dalla politica che cerca elementi identitari e distintivi forti.

Da qui desideriamo partire con questo contributo per ricostruire il perché di questa contrapposizione o sovrapposizione e per proporre invece una logica di interazione tra resilienza e sostenibilità.

Presentiamo quindi di seguito un breve inquadramento della contrapposizione o sovrapposizione che trova le sue radici nell’importazione dei concetti di resilienza e sostenibilità dall’ambito dell’ecologia alle scienze sociali.

Sviluppiamo successivamente una prospettiva contingentista che tiene conto della combinazione tra sostenibilità e resilienza presente allo stato attuale nelle organizzazioni. Desideriamo così evidenziare come debba essere diverso il percorso verso un target di maggiore sostenibilità a partire da combinazioni diverse (specularmente si può derivare una riflessione su un target di maggiore resilienza). Ogni combinazione richiede infatti un percorso specifico, che le organizzazioni, la società e la politica devono tenere presente per evitare di banalizzare e demagogizzare la stabilità e la prosperità della vita sul nostro pianeta per noi e per le generazioni a venire.

Sostenibilità e resilienza: una sinergia normativa

Nel campo degli studi manageriali, la resilienza è vista come la capacità di organizzazioni e sistemi sociali di reagire e riprendersi da eventi critici (Linneluecke, 2017). Sebbene ampiamente studiata, la comprensione della resilienza rimane frammentata, soprattutto nella sua relazione con la sostenibilità.

Vi è poca chiarezza, inoltre, sull’uso delle due principali concettualizzazioni della resilienza: il “bouncing back”, che implica il ritorno a uno stato precedente (Pimm, 1984) e il “bouncing forward”, che suggerisce l’adattamento verso un nuovo equilibrio (Holling, 1973). Tale ambiguità crea incertezza, poiché le organizzazioni vengono genericamente invitate a essere resilienti senza indicare quale approccio adottare. Tuttavia, vi è una distinzione importante tra le due concettualizzazioni, poiché la prima implica un ritorno alla situazione precedente la crisi, sottintendendo la bontà di quella situazione (ne è un esempio un’azienda che, dopo una crisi, ripristina rapidamente le condizioni operative precedenti), mentre la seconda porta al superamento della situazione precedente verso un nuovo equilibrio che valorizza nuovi elementi e affonda in nuove radici di prosperità (come nel caso di un’azienda che, anziché cercare di tornare alla situazione pre crisi, sfrutta l’evento come opportunità per innovare e migliorare il proprio modello di business). Per evidenziare quanto le organizzazioni, pur bilanciando le soluzioni esistenti con le sfide emergenti, debbano impegnarsi a cambiare, la letteratura distingue tra percorsi di resilienza assorbitiva, adattiva o trasformativa, articolando una diversa combinazione tra stabilità e cambiamento a seconda del grado di novità affrontato (Frigotto et al. 2022). In questo caso, il grado di novità della sostenibilità varia a seconda del rapporto con essa nella condizione attuale dell’organizzazione richiedendo quindi percorsi di transizione diversi.

In ecologia, la resilienza di un sistema, come ad esempio una foresta, permette di reagire alle avversità, riorganizzarsi e trovare un nuovo equilibrio. In questo caso, la sostenibilità non è messa in discussione, in quanto espressione della sopravvivenza del sistema stesso, che, tramite la sua capacità di resilienza, mantiene o ripristina alcune caratteristiche che, pur nel cambiamento, gli forniscono continuità. Per tanto, se la sostenibilità è l’obiettivo, la resilienza è la modalità con cui sostenerla. In ecologia, quindi, è vero che la resilienza è sottintesa nella sostenibilità.

Influenzate dalla relazione tra i due concetti in ecologia, le scienze sociali riconoscono sempre di più la resilienza organizzativa come elemento cruciale per affrontare le crescenti esigenze di sostenibilità, tra cui il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e il rispetto dei criteri ESG. La sostenibilità, definita come lo sviluppo che soddisfa i bisogni attuali senza compromettere quelli futuri (WCED, 1987), sta diventando un elemento centrale nel valutare le organizzazioni. Oggi, infatti, le performance non si misurano solo in termini economici, ma anche sociali e ambientali. In questo caso la sostenibilità non è ancora sottintesa e implicita come valore ultimo che garantisce la sopravvivenza, ma è più marcatamente un obiettivo normativo, legato ad un giudizio su cosa, come comunità, riteniamo sia giusto e opportuno fare per la prosperità delle organizzazioni e della società. Questo è vero se si considera che si tratta di una valutazione che si è evoluta negli anni. Anzi, proprio questa evoluzione in corso, sta avvicinando il concetto di sostenibilità sempre di più a quello ecologico: la sostenibilità diventa l’obiettivo, in quanto espressione di sopravvivenza. Quando la dimensione ambientale e sociale si affianca all’obiettivo della performance economica, diventando “il target” fondamentale come in ecologia, allora la resilienza torna ad essere un strumento per raggiungere la sostenibilità. In questo caso sarebbe quindi corretto affermare che una forte resilienza garantisce sostenibilità.

Tuttavia, nel contesto attuale, un’organizzazione resiliente non sempre è sostenibile.  Fintanto che la sostenibilità non è riconosciuta come un valore fondamentale pari al contesto ecologico, allora ad essere interpretato come espressione di sopravvivenza è la resilienza, che diventa però un obiettivo normativo da raggiungere e non più un concetto descrittivo del come si ottiene la sostenibilità. Ne consegue che la resilienza viene considerata come un valore da perseguire (Brand & Jack, 2007) anche se in contraddizione con la sostenibilità.

La sfida è quindi quella di individuare soluzioni in cui la resilienza supporta la sostenibilità. Quest’ultima è vista come una difficoltà che destabilizza l’equilibrio tradizionale, spingendo verso un nuovo modello in cui le organizzazioni che non la considerano rischiano di subirne gli effetti, mentre quelle già impegnate a riguardo faticano ad adattarsi a un sistema che ancora non la riconosce pienamente. Le organizzazioni sono chiamate ad affrontare le sfide del presente con strategie che si adattino a questa loro specifica situazione: rinforzare la resilienza fornisce maggiore probabilità di sopravvivenza nel mondo attuale, mentre ignorare la sostenibilità potrebbe compromettere la sopravvivenza futura in un mondo che non potrebbe prescindere dalla sostenibilità.

Percorsi di transizione

Come anticipato, le organizzazioni differiscono significativamente nelle loro condizioni iniziali riguardo sostenibilità e resilienza. Riguardo la prima, alcune possono già aver sviluppato pratiche di sostenibilità consolidate, mentre altre potrebbero aver riconosciuto solo recentemente la necessità di impegnarsi in questo senso. Al fine di meglio comprendere come queste condizioni influenzano i percorsi di transizione per perseguire gli obiettivi di sostenibilità, possiamo posizionare tre tipi di organizzazioni lungo un continuum dove i due estremi rappresentano da una parte situazioni in cui la sostenibilità è praticamente assente, ma la resilienza è invece molto alta, e all’opposto, situazioni in cui la sostenibilità è totalizzante, ma la resilienza molto debole (Figura 1). Nel mezzo troviamo organizzazioni dove la sostenibilità è presente in modo non uniforme e perseguita in modo frammentato e non coordinato e dove anche la resilienza è ad un livello intermedio, più o meno intensa a seconda delle aree.

Figura 1

Riteniamo che questi tre casi che sviluppiamo di seguito richiedano tre percorsi di transizione, ossia modalità di essere resilienti, molto diversi, aspetto che viene spesso ignorato. Tale mancanza rischia non solo di non supportare l’identificazione delle strategie corrette per ciascuna situazione ma anche di contribuire alla mancata considerazione delle conseguenze di alcuni percorsi come i costi della transizione citati in introduzione.

1. Colossi dello status quo non sostenibile

Nel primo caso, sulla sinistra del continuum, si posizionano quelle realtà che operano in ambiti e secondo modalità altamente estranee alla sostenibilità. Si pensi ad esempio alle grandi compagnie del settore petrolifero dove la sostenibilità è estranea sia al prodotto trattato in sé, ma anche ai metodi di estrazione e ad alcune modalità socialmente ed eticamente poco sostenibili legate alla supply chain. Da una parte queste organizzazioni sono molto solide dal punto di vista economico, operano in un contesto maturo e non temono affatto minacce alla loro sopravvivenza. Tuttavia, proprio questi aspetti rappresentano un freno nel momento in cui tali organizzazioni decidessero di orientarsi verso la sostenibilità, o se un cambiamento nei valori sociali le spingesse in questa direzione. Meccanismi di path dependency e lock-in, come importanti investimenti in soluzioni consolidate, seppur poco sostenibili, trattengono l’organizzazione e rendono il mantenimento dello status quo la soluzione più attraente.

In ottica di transizione verso la sostenibilità, tali considerazioni non possono essere trascurate in quanto contribuiscono a definire le strategie di resilienza che organizzazioni che si posizionano su questo lato del continuum possono adottare. Infatti, le aziende di questo settore che intraprendono la transizione verso modelli a più basse emissioni si trovano ad affrontare un alto grado di novità. L’impegno richiesto in termini di apprendimento è significativo e coinvolge tutti gli aspetti dell’organizzazione. Tale percorso di transizione sviluppa una resilienza di tipo trasformativo, così definita in letteratura (Frigotto et al., 2022), ossia richiede a queste realtà di trovare soluzioni molto distanti da quelle già consolidate. Per esempio, le compagnie petrolifere esplorano nuove aree di business, riposizionandosi anche come industry. Se si pensa ad esempio al passaggio dal petrolio alle energie rinnovabili, il passaggio non è semplice anche perché soluzioni scientifico-tecnologiche economicamente fattibili non sono ancora disponibili.

2. Pionieri della sostenibilità come core business

Spostandosi sul lato destro del continuum, troviamo invece quelle organizzazioni dove la sostenibilità è parte del core business. Ne sono un esempio le cosiddette ecoventures impegnate a promuovere la sostenibilità in ciascuna delle attività aziendali. In queste realtà la ricerca della sostenibilità è stabile e solida, mentre i metodi di acquisizione delle risorse possono cambiare.

Tuttavia, non è solo l’alto livello di sostenibilità che le rende opposte alle organizzazioni all’altro estremo del continuum. Le ecoventures, infatti, a differenza delle compagnie petrolifere, si devono confrontare con l’incertezza della loro situazione finanziaria ed operano in un contesto in cui il loro prodotto o servizio non è completamente valorizzato dal mercato, poiché include una componente di sostenibilità che si riflette in prezzi più elevati, che i clienti non sono necessariamente disposti a sostenere. Questo ostacolo limita i loro ricavi, spesso insufficienti per garantire la solvibilità.

Nel far fronte a queste sfide queste organizzazioni temono di compromettere la sostenibilità del loro agire. In questo, il percorso di transizione identificato nella letteratura come resilienza assorbitiva permette di mantenere gli obiettivi di sostenibilità che già queste realtà perseguono migliorandone la capacità di affrontare le sfide, in particolare quelle economiche e finanziarie. In questo caso, la sostenibilità ha generalmente un profilo di novità ridotto, poiché è già parte integrante del core business. Il percorso richiede di superare i limiti imposti ad esempio dai finanziamenti pubblici limitati, fonte alla quale spesso si affidano questi modelli di business, e dai ricavi scarsi. Un’altra via può essere l’offerta di corsi di formazione sulla sostenibilità, un’iniziativa che non solo favorisce la crescita del mercato, ma contribuisce anche a diffondere i principi della sostenibilità e a mantenere l’azienda redditizia.

3. Sperimentatori opportunisti della sostenibilità a macchia di leopardo

Mentre le posizioni estreme sono concettualmente più chiare, nella realtà, la maggior parte delle organizzazioni si trova in una posizione intermedia, dove coesistono approcci orientati alla sostenibilità e approcci molto lontani da essa. Tali posizioni intermedie si riscontrano in molti settori, ma gli ipermercati sono sicuramente una metafora evocativa della molteplicità di prodotti, scopi e clienti, in cui la sostenibilità non è né completamente perseguita né completamente respinta, ma emerge come una sensibilità in evoluzione. In questo caso la letteratura definisce resilienza adattiva il percorso di transizione tramite il quale le organizzazioni in questa categoria tendono a introdurre la sostenibilità, ossia in modo graduale e sperimentale, mantenendola solo se dimostra di generare un valore concreto. Solitamente, le organizzazioni di questo tipo si attivano inizialmente con interventi limitati, adottando un approccio basato sull’avanzamento per tentativi, così da apprendere dall’esperienza. Ogni iniziativa fornisce infatti indicazioni utili su ciò che funziona e su ciò che necessita di aggiustamenti, preparando il terreno per un’implementazione più ampia ed efficace.

Questo approccio incrementale permette alle organizzazioni di valutare il potenziale economico della sostenibilità bilanciando i rischi, e si distingue dagli approcci che richiedono interventi più radicali. Il percorso della resilienza adattiva consente alle organizzazioni di testare, apprendere e gradualmente ampliare la capacità di progredire verso modelli più sostenibili. Sperimentando su piccola scala è possibile, al contempo, far fronte alle limitazioni imposte da pratiche consolidate non sostenibili. Attraverso sforzi incrementali, le organizzazioni collegano le iniziative isolate, costruendo una strategia di sostenibilità integrata. La gradualità attraverso la quale si realizza il percorso permette di affrontare iniziative con un profilo di novità medio e di limitare i rischi e l’incertezza. A differenza di un percorso trasformativo che richiede cambiamenti bruschi, il percorso adattivo consente alle organizzazioni di sperimentare soluzioni sostenibili preservando elementi essenziali preesistenti.

Implicazioni manageriali

In questo contributo abbiamo approfondito il legame tra sostenibilità e resilienza, riconoscendoli come concetti distinti ma interconnessi. Analizzarli in modo separato rischia di ridurre la loro portata e di rallentare i progressi verso modelli più sostenibili. Un approccio più efficace parte invece dalla consapevolezza che ogni organizzazione ha un punto di partenza diverso nel suo percorso di transizione. Una realtà consolidata e di successo, nata in un’epoca in cui la sostenibilità non era un valore centrale, affronta sfide molto diverse rispetto a una realtà emergente costruita su principi sostenibili, ma che fatica a sopravvivere in un mercato ancora non del tutto allineato a questi valori. Tra questi due estremi si trovano organizzazioni intermedie, con caratteristiche ibride, che adottano pratiche sostenibili in modo parziale o graduale.

I meccanismi di lock-in che caratterizzano i grandi colossi dello status quo rappresentano una forma di resilienza che li mantiene ancorati a modelli poco sostenibili. Se un’organizzazione è resiliente ma insostenibile, il passaggio verso un futuro in cui una maggiore sostenibilità sarà apprezzata sarà complesso, e le strategie di transizione dovranno puntare al cambiamento piuttosto che alla conservazione dello stato attuale. Riprendendo la distinzione già proposta, potremmo dire che, in un percorso di transizione, la resilienza orientata al “bouncing back”, ossia il ritorno allo stato precedente, deve lasciare il posto a una resilienza di “bouncing forward”, capace di guidare il cambiamento verso un nuovo equilibrio più sostenibile.

Al contrario, le aziende che hanno fatto della sostenibilità il loro core business tendono a essere meno resilienti nel contesto attuale. Questo significa che, per garantirsi un futuro stabile, non possono limitarsi a rafforzare ulteriormente il loro impegno sostenibile, ma devono anche sviluppare una maggiore capacità di adattamento e resistenza alle sfide del mercato. In questo caso, lo stato attuale dell’organizzazione è già desiderabile perché sostenibile, e quindi la resilienza orientata al “bouncing back”, ovvero la capacità di mantenere stabilità nel tempo diventa essenziale per preservare i risultati raggiunti.

In linea con questa argomentazione, le organizzazioni possono seguire traiettorie diverse nel loro percorso di integrazione della sostenibilità, ciascuna con implicazioni manageriali specifiche che in un certo senso si rifanno ai concetti di exploration (esplorazione di nuove soluzioni) ed exploitation (sfruttamento delle risorse esistenti) (March, 1991; O’Reilly & Tushman, 2004).

Le organizzazioni che devono compiere un cambiamento radicale, perché la sostenibilità non è ancora parte del loro modello, necessitano di strategie di resilienza orientate all’esplorazione. All’opposto, le organizzazioni che già operano in modo sostenibile devono invece concentrarsi sulla resilienza come capacità di assorbire gli shock senza perdere i progressi fatti. Infine, le organizzazioni intermedie adottano un equilibrio tra stabilità e cambiamento. In questo caso, i percorsi di transizione combinano piccoli miglioramenti incrementali con l’adozione di soluzioni sviluppate esternamente, consentendo un adattamento graduale senza stravolgimenti. In questa strategia si riducono i costi associati all’innovazione, alla sperimentazione e all’acquisizione di conoscenze, consentendo alle organizzazioni di adottare pratiche di successo già sviluppate da altri. Ciò facilita un progresso graduale verso la sostenibilità e consente alle organizzazioni di apprendere dai successi altrui. Questo approccio aiuta a bilanciare la resilienza che sostiene l’evoluzione con quella che potrebbe frenare il progresso.

Nella pratica, pensare a percorsi differenziati per raggiungere tutti uno stato futuro maggiormente sostenibile richiede sforzi importanti su più fronti. Da una parte, ovviamente, per le organizzazioni che, a seconda della loro condizione attuale, devono cogliere le possibilità per il loro avanzamento. I colossi dello status quo si trovano davanti alla sfida di dover affrontare una radicale revisione di come operano e con quali fini mentre i pionieri della sostenibilità navigano sul filo della sopravvivenza.

Dall’altra parte, la ricerca è chiamata a sostenere questa transizione con nuove soluzioni capaci sia di colmare limiti scientifico-tecnologici che rendono alcune soluzioni ancora poco percorribili, sia di stimolare innovazione sociale verso un sistema che valorizza la sostenibilità.

Infine, i decisori politici sono chiamati a guidare in modo più efficace le strategie per un futuro sostenibile riconoscendo il rapporto tra resilienza e sostenibilità. Puntare ad incentivare la prima non necessariamente si traduce in un aumento della seconda, anzi, può essere controproducente.  Al contrario, un focus sulla sostenibilità che non riconosce la resilienza della condizione attuale difficilmente sarà efficace.

Bibliografia

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George, G., Howard-Grenville, J., Joshi, A., & Tihanyi, L. (2016). Understanding and tackling societal grand challenges through management research. Academy of management journal, 59(6), 1880-1895.

Holling, C. S. (1973). Resilience and stability of ecological systems. Annual Review of Ecology and Systematics, 4(1), 1–23.

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Linnenluecke, M. K. (2017). Resilience in business and management research: A review of influential publications and a research agenda. International journal of management reviews, 19(1), 4-30.

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Ortiz‐de‐Mandojana, N., & Bansal, P. (2016). The long‐term benefits of organizational resilience through sustainable business practices. Strategic management journal, 37(8), 1615-1631.

Pimm, S.L. (1984). The complexity and stability of ecosystems. Nature 307, 321-326.

Sheffi, Y. (2018). Balancing green: When to embrace sustainability in a business (and when not to). MIT Press.

WCED-World Commission on Environment and Development (1987). Our Common Future. Oxford: Oxford University Press. Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future


[1] 20 gennaio 2025, https://www.whitehouse.gov/remarks/2025/01/the-inaugural-address/

[2] 13 settembre 2023, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/speech_23_4426

[3] 18 luglio 2024, https://commission.europa.eu/document/download/e6cd4328-673c-4e7a-8683-f63ffb2cf648_it?filename=Political%20Guidelines%202024-2029_IT.pdf

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Università di Trento

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