L’interpretazione della cultura organizzativa come competenza manageriale

Saper interpretare la cultura di una organizzazione costituisce un’importante competenza manageriale. Ma come si impara a comprendere la cultura di una organizzazione? L’articolo presenta un format consolidato per acquisire questa competenza. Si descrive una esperienza di analisi e i risultati ottenuti; si riporta l’impatto della restituzione nelle organizzazioni.

Introduzione 

Sviluppato a partire dagli anni ’70, il concetto di cultura ha consentito di cogliere il cuore delle organizzazioni. Definire la cultura non è semplice; secondo Schein (1985) la cultura costituisce l’insieme di significati profondi ma anche di soluzioni operative, condivisi, scoperti e sviluppati da un gruppo mentre impara ad affrontare i problemi di adattamento esterno o integrazione interna. Essi hanno funzionato talmente bene da essere considerati validi e perciò meritevoli di essere trasmessi ai nuovi membri come la “modalità corretta” di percepire, affrontare e pensare per quel contesto e quella comunità organizzativa.

La cultura rappresenta l’essenza di una organizzazione, il suo DNA, ma anche “la colla” che “tiene insieme” i suoi membri (Schein, 1985). Studiare la cultura di un gruppo significa pertanto, analizzarne la struttura spesso nascosta, dove i valori e gli assunti di base che ispirano comportamenti e fondano i modelli mentali sono costituiti, preservati e condivisi. Di conseguenza l’analisi della cultura organizzativa permette di comprendere appieno non solo perché si è creata un’organizzazione, ma anche perché questa continua ad esistere e come i valori e le norme che ne garantiscono la stabilità vengono trasmessi ai nuovi individui (Van Maanen, 1973).

La cultura è tanto pervasiva da influenzare attività, funzioni e mindset dell’organizzazione. Ad esempio, con riferimento alle imprese, sono state analizzate le relazioni esistenti tra cultura organizzativa e performance (Prajogo & McDermott, 2011), gestione delle risorse umane (Sheridan, 1992), processi di innovazione (Deshpandé et al., 1993), processi decisionali (Zheng et al., 2010) e gestione dei cambiamenti organizzativi (Rashid et al., 2004). A tal proposito secondo Martins & Terblanche (2003) la cultura di un’organizzazione orienta le sue scelte anche in maniera indiretta poiché definisce l’impianto valoriale entro cui si prendono le decisioni, per esempio su obiettivi strategici o struttura organizzativa, ma in generale, in ogni altro ambito. Per questo motivo comprendere la cultura è importante per i decisori interni ma anche per i consulenti poiché (Schein, 2004, p.8) “decisioni prese senza avere consapevolezza delle forze culturali in atto possono produrre conseguenze inattese e indesiderate”, e decisioni dalle conseguenze incontrollate rischierebbero di collocare l’intervento manageriale nell’ambito dell’irrazionalità. In virtù di ciò, studiare la cultura di un’organizzazione equivale in modo imprescindibile a studiare l’organizzazione stessa. Acquisire uno sguardo esperto nella lettura della cultura organizzativa è quindi fondamentale per guidare un’organizzazione a tutti i livelli.

In questo articolo si descrive una proposta formativa (format) che ha come obiettivo la costruzione della capacità di lettura della cultura organizzativa, quale vera e propria competenza manageriale. Proposto per 7 anni agli studenti della Laurea magistrale in Management presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, questo format è corroborato sul campo, avendo coinvolto in totale circa 700 studenti e 160 aziende. Gli studenti hanno acquisito per questo tramite la competenza di lettura della cultura; le aziende uno sguardo scientificamente fondato e rigoroso, sulla propria essenza, sui propri comportamenti e sulla relazione tra i due. Questa fotografia ha consentito in particolare alle organizzazioni studiate di identificare le proprie criticità e scoprire i punti di forza nella percezione dei propri membri nonché, identificandone le fonti, di individuare percorsi di miglioramento.

Il format prevede, inizialmente, un’esplorazione su concezioni e approcci alla cultura organizzativa presenti in letteratura, sui diversi metodi di raccolta dati, di analisi e di interpretazione dei risultati. Successivamente richiede che tali conoscenze siano rese azionabili attraverso un lavoro sul campo, nel confronto con organizzazioni reali e con i loro membri, oltre che con una comunità di studiosi di cultura organizzativa, costituita per l’occasione da studenti, docenti e consulenti ospiti del corso. L’ambizione perseguita con questo elaborato è che il format, sviluppato e affinato in anni di didattica, possa costituire un modello di costruzione di competenze culturali in diversi ambiti formativi.

Nelle prossime sezioni si presentano i principali approcci interpretativi e di studio della cultura, in questo senso “framework” che, nel modello formativo, costituiscono la rosa di strumenti alternativi adottati per indagare la cultura all’interno di una organizzazione. Successivamente si illustrano il format e la sua metodologia e si descrive uno dei progetti di analisi condotti dagli studenti per mostrare il risultato cui il format conduce. Infine sono riportate le conclusioni con spazio per l’impatto dello studio della cultura sulle organizzazioni.

Alcune prospettive per leggere la cultura organizzativa

Nel corso degli ultimi 40 anni diversi autori hanno analizzato la cultura all’interno delle organizzazioni sotto diversi punti di vista e, servendosi di metodi di indagine ed approcci differenti, hanno dato origine ad una vasta e variegata gamma di strumenti per interpretare la cultura.

Una prima serie di contributi vede la cultura in modo statico. Lo studioso che per primo ha attratto l’attenzione di practitioner e accademici intorno al concetto di cultura è Edgar Schein (1985). Il suo costituisce un framework interpretativo potente secondo cui la cultura è composta di tre elementi fondamentali che si collocano a livelli di profondità crescente: gli artefatti, i valori e gli assunti taciti di base. Gli assunti taciti di base rappresentano le credenze più profonde condivise dagli individui, i valori identificano gli obiettivi, le norme sociali e gli standard riconosciuti come validi e meritevoli di essere perseguiti, ed infine gli artefatti sono i risultati tangibili, visibili delle attività svolta seguendo i valori e gli assunti taciti di base. Essi includono i veri e propri manufatti, ma anche i comportamenti delle persone. Partendo dall’osservazione di ciò che è immediatamente visibile (artefatti), è possibile interpretare il significato che gli artefatti incorporano, andando a comprendere quali sono i valori espliciti che richiamano, spesso contenuti in documenti quali le presentazioni aziendali, le dichiarazioni della mission, lo statuto, il codice etico ecc. Di solito attraverso interviste e osservazione partecipante è possibile invece accedere agli assunti di base che sono spesso nascosti e tipicamente, almeno in parte, inconsci.

Per studiare gli artefatti, Larsen & Schultz, (2017) hanno proposto di adottare il metodo del reportage fotografico che consente di fornire negli scatti l’evidenza delle loro interpretazioni. Le foto, associate a interviste e al vissuto di un degli autori che è anche insider dell’organizzazione, catturano gesti e arredamento dell’ambiente di lavoro da cui si evincono assunti di base. Il setting empirico del loro lavoro è un Ministero Danese del quale evidenziano autorità, prestigio, alterità, rigore, paragonandolo, attraverso una metafora interpretativa, ad un monastero del medioevo.

Sempre per una migliore interpretazione degli artefatti, Barley (1983) propone di usare concetti e categorie della semiotica. Dedicandosi all’analisi della cultura di una sala per il commiato, evidenzia la relazione tra segno e significato esplicito e implicito, così come l’esplorazione dei simboli opposti consenta di comprendere meglio i simboli originari. Infatti, nel considerare perché le salme vengano truccate, o gli ambienti appaiano come luoghi di convivialità familiare, indaga anche i significati trasmessi attraverso condizioni opposte quali salme che portano i segni della morte e ambienti cupi che rimandano ad una condizione di giudizio e di condanna. In questo modo mette a fuoco che significati impliciti che sono trasmessi attraverso gli ambienti e le pratiche degli operatori della sala per il commiato, sono quelli della serenità del riposo, della benevolenza e condivisione che scende su tutti i partecipanti a un funerale. Questi significati tra l’altro vengono costruiti dai manager della sala in modo strategico per rendere i funerali “più piacevoli” evitando situazioni di disagio di fronte alla disperazione di una morte che appare in modo più crudo nel defunto e nel luogo della sua conservazione.

Nell’ambito del framework statico originato da Schein, Meyerson & Martin (1987) si distanziano dall’idea di cultura come elemento monolitico, valido allo stesso modo per tutta l’organizzazione. Esse riconoscono che, se senza dubbio la cultura è un fattore di integrazione, che i vertici aziendali mirano a costruire e controllare, essa è altrettanto una fonte di differenziazione tra comunità diverse, presenti anche dentro la stessa organizzazione. In questa chiave è possibile individuare sub-culture che possono essere conflittuali o ortogonali rispetto alla cultura promossa dai vertici. Non sempre questo provoca conflitti o differenze consapevoli nelle organizzazioni; la cultura è in sé ambigua, poiché servendosi largamente di artefatti per rimandare a un significato implicito, questo legame può essere interpretato in modo diverso da chi osserva questi artefatti. Questa ambiguità è in sé all’origine di una tregua tra le diverse comunità organizzative.

In questo quadro, Kunda (2009) estende la lettura strategica della cultura e delle sue funzioni. La cultura infatti non è solo un mezzo a disposizione dell’organizzazione per indirizzare e unire pensiero e azione dei propri membri, ma è soprattutto uno strumento per controllare il comportamento, conformarlo e standardizzarlo. Kunda identifica nella cultura una più articolata e penetrante forma di controllo organizzativo che conquista fin nell’intima concezione di bene e male e che, nel caso l’individuo si ribelli, porta al burnout o alla scissione tra persona “sul lavoro” e persona “fuori dal lavoro”.

Infine, Van Maanen (1973) ha fornito una prospettiva dinamica della cultura attraverso lo studio del dinamismo dei suoi membri. L’autore analizza il processo con cui novizi entrano a far parte dell’organizzazione e ne diventano interpreti culturali. Il processo, detto “di socializzazione della cultura”, è articolato in quattro fasi: la scelta di far parte dell’organizzazione e quindi di candidarsi per una posizione; l’introduzione, caratterizzata da attività di formazione e indottrinamento; l’incontro, in cui i novizi affrontano le sfide del lavoro nell’organizzazione senza filtri o ammortizzatori legati alla formazione iniziale, infine la metamorfosi, durante la quale l’individuo interiorizza i valori e le norme di comportamento della realtà in cui è entrato a far parte, subendo una trasformazione profonda e divenendo a tutti gli effetti un’espressione della cultura organizzativa.

Format e metodologia

 Al fine di stimolare le soft skills relative al team working, come, ad esempio, la comunicazione verbale, la risoluzione di problemi e la gestione del tempo e dei conflitti, il lavoro era svolto in gruppi con al massimo quattro componenti. Ogni gruppo poteva autonomamente individuare l’organizzazione oggetto di studio. L’unico vincolo nella scelta dell’organizzazione era quello di selezionare una realtà di cui uno o più studenti avevano fatto o facevano attivamente parte, ad esempio imprese in cui lavoravano o avevano svolto un tirocinio, associazioni sportive, musicali, letterarie etc. Il risvolto di questo vincolo era che ogni gruppo si trovava al proprio interno un insider, ossia un membro dell’organizzazione da studiare, con tutti i vantaggi legati all’entratura: dalla facilità di contatto alla raccolta dati, alla generale disponibilità ad accogliere i risultati dell’analisi, anche se a volte scomodi. Dal punto di vista metodologico, inoltre, l’insider forniva un’ulteriore fonte di dati di tipo etnografico e un’importante prospettiva da mettere a confronto con quella dei colleghi che vedevano l’organizzazione dall’esterno. Questa architettura metteva strutturalmente gli studenti nelle condizioni di affrontare il lavoro in tempi brevi, evitando di rimanere trappola delle classiche dinamiche di interlocuzione, ma anche di raggiungere un livello di profondità maggiore nell’analisi, poiché, malgrado strumenti quantitativi come sondaggi fossero possibili, potevano facilmente accedere a fonti più ricche e più profonde come la raccolta di rituali, le storie organizzative o le manifestazioni simboliche, osservazioni partecipanti, corroborate da interviste aperte ai soggetti informati (Geertz, 1973; Van Maanen, 1973; Barley, 1983; Kunda, 2009).

Nella seconda fase gli studenti approcciavano concretamente lo studio dell’organizzazione selezionata secondo il framework di riferimento scelto tra i numerosi contributi richiamati nella sezione precedente. Gli studenti sostenevano tutto il processo di ricerca: dalla raccolta dei dati fino alla codifica e analisi dei risultati. Ciò consentiva di familiarizzare sia con i diversi metodi qualitativi, come, ad esempio, l’analisi di un caso studio, il metodo etnografico o le diverse tipologie di interviste o il metodo del reportage fotografico; sia con i diversi strumenti dell’analisi qualitativa che era strutturata e supportata dall’utilizzo di software dedicati quali NVivo.

Questa fase del percorso era scandita da scadenze e deliverable intermedi come calendario delle attività o tabelle riassuntive dei dati raccolti, oltre che da discussioni con la docente sulle criticità emerse durante il processo di raccolta e/o interpretazione dei dati. Erano inoltre previsti incontri in plenaria dove ascoltare il percorso degli altri e imparare collettivamente dall’esperienza indiretta.

Infine, i risultati dell’analisi erano discussi in aula dove veniva stimolata una trattazione critica del processo di ricerca e veniva identificato un “so what” per le aziende in cui elaborare implicazioni manageriali e organizzative della ricerca. Quale restituzione verso le organizzazioni che avevano acconsentito a farsi studiare, gli studenti avevano poi il compito di riportare i risultati e le implicazioni all’organizzazione.

Una illustrazione: La socializzazione della cultura tra gli arbitri

Uno dei gruppo di studenti che ha partecipato al format, ha analizzato la cultura organizzativa all’interno della Federazione Italiana di uno dei più popolari sport di squadra praticati in Italia. L’insider del gruppo era un arbitro da circa dieci anni e il framework scelto fu quello di Van Maanen (1973) volendo comprendere come avviene il processo di trasmissione della cultura organizzativa all’interno della Federazione.

Durante la fase di raccolta dati gli studenti sono dapprima andati alla ricerca dei valori dichiarati dell’organizzazione nei testi scritti reperibili sul sito dell’organizzazione stessa, e in una fase più avanzata, hanno svolto una serie di interviste semi-strutturate. Volendo cogliere tutto il processo e il suo impatto sull’identità degli individui, prima e dopo il processo di socializzazione, hanno intervistato sia arbitri attivi sia ex arbitri. La Tabella 1 presenta i dati raccolti. L’analisi è proseguita con un’attività di codifica dei significati espliciti e impliciti che ha condotto a una serie di codici di primo e secondo livello (Figura 1).

L’analisi evidenzia che nella fase della scelta, le motivazioni che portano a intraprendere un percorso per diventare arbitro sono la curiosità per una nuova attività, la passione per lo sport e il gusto della sfida personale. Lo studio dei comportamenti e delle pratiche organizzative ha evidenziato una discrepanza tra i valori dichiarati e quelli realmente tenuti in considerazione dalla Federazione durante la fase di selezione dei candidati. Questo produce di conseguenza un forte senso di ambiguità che viene chiaramente percepito dai candidati fin dal momento in cui gli viene comunicato l’esito delle selezioni.

Nella fase dell’introduzione, l’analisi ha evidenziato nella divisa l’artefatto che permette ai novizi non solo di identificarsi nell’organizzazione, ma anche di essere riconosciuti come arbitri al di fuori di essa, in particolare dai giocatori e allenatori. Essa rappresenta l’identità dell’arbitro e nel momento in cui viene consegnata, l’individuo “si sente” arbitro.

Nella fase dell’incontro, le interviste hanno evidenziato che gli arbitri cadetti accettano di interiorizzare i valori dell’organizzazione, nonostante osservino che tali valori sono disattesi quando vengono affidati importanti incarichi di arbitraggio sulla base di criteri non legati alla performance arbitrale o ai valori dello sport, ma per mostrare un modello di arbitro che ha precise caratteristiche di età, peso e genere.

Infine nella fase della metamorfosi, i novizi completano il processo di assorbimento dei valori organizzativi. L’individuo diventa a tutti gli effetti un arbitro esperto, ma è proprio a questo punto che spesso decide di abbandonare l’organizzazione. Questo avviene per due motivi principali: poiché si percepiscono favoritismi e incongruenze con i valori dichiarati, o semplicemente per altre priorità che sopraggiungono tra i propri interessi.

La restituzione dello studio alla Federazione ha evidenziato alcuni punti di debolezza nel processo di socializzazione che hanno suggerito spunti di cambiamento. La maggiore criticità stava nella capacità di trattenere gli arbitri, specialmente dopo che si era investito sulla loro formazione. L’analisi ha mostrato che una maggior trasparenza e condivisione delle scelte sugli arbitraggi importanti, nonché una maggiore coerenza con i valori dello sport e della meritocrazia, può portare importanti miglioramenti. Inoltre si è evidenziata anche l’esigenza, molto sentita dagli arbitri, di sentirsi parte di una organizzazione dove collocare la propria appartenenza e identità di gruppo. Questo senso di comunità, molto presente in fase di formazione, va scemando mano a mano che l’esperienza e le competenze crescono, operando gli arbitri in piccolissimi gruppi.

L’analisi ha messo in luce, per contro, gli elementi di forza della Federazione e che sono divenuti parte della propria sfera di consapevolezza. In particolare si è chiarito che i novizi trovano nella Federazione un contesto in cui radicare la passione per lo sport e voglia di superare il proprio limite e combinarli con l’impegno sportivo. Gli individui pensano di fare qualcosa di grande e bello quando arbitrano, e questo si rispecchia nel rispetto per la divisa, nonché nel rigore e nella ricerca della precisione dei gesti dell’arbitraggio.

Tabella 1: Dati raccolti per lo studio della cultura degli arbitri di uno sport di squadra

DOCUMENTAZIONE INTERNA

INTERVISTE NON STRUTTURATE

Figura 2 – La mappa dei codici più significativi e delle loro relazioni

Conclusioni

In questo articolo si è presentato un format per insegnare a leggere la cultura di una organizzazione. Questa costituisce una vera e propria competenza manageriale, utile per i decisori interni così come per i consulenti esterni alle organizzazioni.

Il format è stato testato in diversi anni di esperienza didattica e si è mostrato utile ad avvicinare gli studenti allo studio della cultura delle organizzazioni, incentivandoli non solo ad una analisi approfondita degli assunti taciti, dei valori e degli artefatti organizzativi ma anche a confrontarsi con l’utilizzo di metodi d’indagine quantitativa e qualitativa. Anche le organizzazioni hanno riscontrato l’efficacia dell’analisi e della formazione della competenza di lettura della cultura. L’esito del percorso formativo è stato un confronto di impatto, perché utile per le organizzazioni che sono state studiate quale strumento di conoscenza e consapevolezza della propria realtà organizzativa, nonché fonte di suggerimenti per interventi futuri.

Le organizzazioni studiate hanno acquisito un quadro della propria cultura che risulta dalla profondità della lettura dell’insider, combinata con la visione fresca e incondizionata degli outsider che completavano il gruppo. Questa integrazione di vedute ha prodotto rappresentazioni articolate, fonte di ampie discussioni nel gruppo e capaci di includere prospettive non dominanti e univoche della cultura. In questo modo hanno spesso dispiegato una realtà ignota o sfuocata alla vista dei vertici. Le organizzazioni hanno imparato quali sono i loro punti di forza, quelli condivisi e sentiti in modo forte dai membri, e quali quelli di debolezza, tipicamente fonte di incoerenza o inconsistenza nel confronto tra enunciati e azioni, o fonte di disgregazione e differenziazione in sotto-culture. Infine e più in generale, le analisi hanno consentito all’organizzazione e all’insider di acquisire consapevolezza della cultura e quindi del tessuto su cui innestare le scelte future.

Attraverso l’insider, le aziende studiate “si sono trovate in casa” una competenza esperta di lettura della cultura organizzativa, che hanno spesso legato a sé e sfruttato per monitorare gli effetti degli interventi adottati. Hanno colto in questo modo che la cultura non si studia una volta per tutte, ma va compresa ogni giorno e ogni ora, e che la competenza di coglierla è una competenza cruciale per guidare le organizzazioni, ma anche solo per starci dentro.

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