La riconfigurazione del lavoro in ufficio prima, durante e dopo lo shock pandemico: evidenze da uno studio longitudinale

Abstract. Le nuove modalità di lavoro, come lo smart working, eliminano i vincoli di tempo e spazio rendendo flessibile il lavoro, che può essere svolto ovunque grazie agli strumenti digitali e alle tecnologie. Dopo averle sperimentate in tutto il mondo a un ritmo senza precedenti in seguito alla pandemia Covid-19, alcune aziende hanno puntato su queste nuove modalità di lavoro riconoscendone i benefici in termini di soddisfazione dei dipendenti e miglioramento delle attività operative. Tuttavia, sono molte le organizzazioni che hanno riscontrato criticità nella gestione delle nuove modalità di lavoro. Alla luce di tali difficoltà, in questo articolo indaghiamo, attraverso un caso di studio longitudinale di un’azienda multinazionale che ha modificato le modalità di lavoro prima, durante e dopo la pandemia, le principali sfide e difficoltà espresse sia dai manager che dai dipendenti.

Introduzione

Molte organizzazioni hanno adottato nuove modalità di lavoro in cui le attività sono svolte totalmente o parzialmente al di fuori del luogo di lavoro. Sebbene molti studiosi si siano recentemente concentrati sulle restrizioni COVID-19, le nuove modalità di lavoro sono state studiate anche negli studi pre-pandemici. Lo sviluppo e l’adozione di tecnologie digitali sul luogo di lavoro hanno favorito il cambiamento di molte pratiche lavorative e, in alcuni casi, hanno alterato la natura del lavoro. Ad esempio, le tecnologie consentono di lavorare in mobilità, potendo i dipendenti svolgere i loro compiti fuori dal luogo di lavoro per un periodo di tempo limitato o in caso di spostamenti richiesti dalla natura delle attività (Yuan, Archer, Connelly, e Zheng, 2010; Scornavacca, 2014). Oggi siamo anche testimoni di come queste tecnologie siano divenute da strumenti per la produttività d’ufficio a piattaforme di supporto alle comunità interne ed esterne all’organizzazione (Spagnoletti et al., 2015; Baptista et al., 2020). Ciò implica anche il superamento della dicotomia uomo-tecnologia verso una retorica riconcettualizzata che prevede nuovi modi di interazione tra uomo e macchina (Suchman, 2007; Suchman, 2012).

Dery et al. (2017) sottolineano come le tradizionali modalità di coordinamento e controllo basate sulla gerarchia e sulla supervisione diretta non siano più adeguate ad assecondare i cambiamenti in atto nei contesti lavorativi. Anche i processi di empowerment spingono i manager a sviluppare il loro profilo di competenza, concentrandosi sulla leadership situazionale, sulle capacità di adattamento e di apprendimento, sull’improvvisazione, in modo da allineare le competenze individuali alle caratteristiche delle organizzazioni “agili” (Spagnoletti et al., 2021). Questa trasformazione riconfigura esigenze e stili di lavoro della new workforce (Colbert, Yee, e George, 2016): ci si aspetta che la new workforce si concentri su “compiti basati sulla conoscenza, flessibili e adattivi”, piuttosto che ricadere nel lavoro ripetitivo e strutturato (Attaran, Attaran, e Kirkland, 2019).

Questo processo di trasformazione delle work practices, in atto oramai da tempo in molte imprese, è stato invece molto difficile e complicato per tante altre organizzazioni che si sono trovate, a causa dell’emergenza pandemica, a dover trasformare il modo di lavorare dei propri dipendenti nel corso di una notte. Queste organizzazioni hanno dovuto affrontare tensioni e paradossi sia sul piano dei comportamenti individuali che organizzativi (Casciaro, 2020). Le esperienze pre-Covid sono state di scarso aiuto per le organizzazioni che hanno improvvisamente adottato nuove modalità di lavoro per necessità indotta da una situazione di emergenza, piuttosto che per volere strategico. Questo articolo, dunque, intende esplorare le sfide che le organizzazioni devono affrontare quando adottano nuove pratiche lavorative, e le lezioni apprese da un caso di studio longitudinale, con l’obiettivo di preparare il terreno a future ricerche sulle configurazioni di lavoro digitale/umano.

Lo scenario derivante dall’osservazione delle esperienze aziendali riportate in letteratura

Nuove modalità di lavoro

Nel new way of working la terminologia è spesso poco chiara e non sempre utilizzata in modo coerente. Termini come lavoro a distanza, lavoro agile e smart working sono spesso usati come equivalenti, mentre in realtà in letteratura si riferiscono a diversi tipi di pratiche lavorative. Durante l’emergenza pandemica, per “lavoro a distanza” si è inteso riferirsi principalmente al lavoro da casa (Ghislieri, Molino, Dolce, Sanseverino, e Presutti, 2021). Le nuove modalità di lavoro sono facilitate dalle workplace technologies, come mobile, cloud ed e-collaboration. Nel lavoro a distanza come nel lavoro agile, l’attenzione rimane ancora focalizzata sull’efficienza e sulla produttività, facendo riferimento a modalità di organizzazione del lavoro, a strutture e a modalità di coordinamento e controllo di tipo tradizionale: il lavoro è individualizzato e focalizzato su compiti strutturati, la supervisione è focalizzata sulla misurazione delle prestazioni individuali (Porter e Van Den Hooff, 2020). Il termine smart working, invece, ha recentemente ricevuto attenzione – sia tra gli accademici che tra i professionisti – per indicare “un sistema di lavoro flessibile” (Lee, 2016). Lo smart working rende disponibile funzionalità digitali per comunicare, lavorare, collaborare, coordinare e controllare, offrendo l’opportunità di essere più efficaci e produttivi nel proprio lavoro, grazie all’immediatezza d’accesso e condivisione di informazioni, documenti e conoscenze necessarie per lo svolgimento delle proprie attività, e per un più efficace utilizzo del proprio tempo. Dery et al. (2017) si spingono oltre e coniano il termine “ambienti di lavoro digitali”, per indicare la nuova configurazione che assume la “postazione di lavoro” al fine di supportare i dipendenti nell’affrontare la sempre più frequente incertezza nella gestione di attività e responsabilità connesse all’esercizio dei ruoli loro assegnati. Questa evoluzione delle digital work practices ha portato all’emergere in letteratura di nuove prospettive di analisi, come le configurazioni digitale/umano che, oltre a riconoscere la relazione tra l’uomo e la tecnologia, enfatizzano l’importanza del “lavoro” e dello sforzo supplementare necessario per gestire con coerenza ed efficacia quella relazione connessa alla impetuosa digitalizzazione (Baptista et al., 2020).  

Precursori dei nuovi metodi di lavoro

La natura del lavoro si è allontanata dai compiti strutturati e l’incertezza è aumentata, per cui gli approcci organizzativi tradizionali non consentono più un efficace coordinamento e controllo delle attività operative (Frost, Osterloh, e Weibel, 2010). Con l’affermarsi delle nuove modalità lavorative, l’attenzione si concentra sul miglioramento dell’autonomia delle persone e sulla collaborazione interna ed esterna. L’autonomia dà loro la libertà di scegliere dove, quando e come svolgere il lavoro. Non a caso, alcuni studi recenti riconoscono l’esigenza di modificare lo stile di leadership per renderlo più adeguato al coordinamento di collaboratori che lavorano in remoto e garantire il loro benessere lavorativo (Dolce, Vayre, Molino, e Ghislieri, 2020).

Mentre la configurazione tradizionale degli ambienti di lavoro limita la flessibilità e la collaborazione tra team, la riprogettazione dei luoghi di lavoro mira a migliorare non solo il benessere dei lavoratori, ma anche la collaborazione e la comunicazione intra-organizzativa (Spagnoletti et al., 2021). Inoltre, le tecnologie digitali svolgono un ruolo fondamentale nel rendere possibili i nuovi modi di lavorare. L’uso dei dispositivi mobili elimina i vincoli temporali e spaziali: i lavoratori possono essere connessi al luogo di lavoro ovunque e in qualsiasi momento (Dery e MacCormick, 2012). Inoltre, le tecnologie digitali stanno cambiando in modo significativo il modo in cui le organizzazioni coordinano e controllano. Ad esempio, le piattaforme e gli algoritmi digitali consentono alle organizzazioni di coordinare le risorse umane anche al di fuori dei confini organizzativi (Möhlmann, Zalmanson, Henfridsson, e Gregory, 2021). Mentre altre tecnologie si avvalgono di capacità di intelligenza artificiale o di automazione robotica dei processi per offrire sistemi avanzati che amplificano le capacità professionali (Baptista et al., 2020).

 Le sfide poste dai nuovi metodi di lavoro

La letteratura rivela molteplici sfide legate al nuovo modo di lavorare, soprattutto a livello individuale. Per i lavoratori a distanza i confini tra vita privata e tempi di lavoro sono sfumati (Song e Gao, 2020). Mentre i lavoratori a distanza sono autonomi nella gestione del proprio lavoro (e.g., orario, luogo e modalità di svolgimento), nella pratica i lavoratori a distanza si trovano ad affrontare il paradosso dell’autonomia, in cui sentono una tensione “tra la propria autonomia personale e l’impegno professionale verso gli altri” e quindi sono sempre collegati online (Mazmanian, Orlikowski, e Yates, 2013).

Mentre le nuove politiche e pratiche eliminano l’enfasi sul luogo in cui si svolge il lavoro, alcuni studi evidenziano per i lavoratori a distanza il “doppio ruolo del luogo”, per cui il luogo è importante e non lo è (Kietzmann et al., 2013). Dery e Hafermalz (2016) sostengono che i lavoratori a distanza possono sentirsi ignorati o isolati e vedono la necessità di creare e mantenere un’identità virtuale. Analogamente, Want et al. (2021) hanno identificato le sfide che collaboratori, supervisor e dirigenti hanno dovuto affrontare durante la pandemia. Per i collaboratori si è trattato di conciliare lavoro e vita privata, distrazioni e solitudine, mentre per i dirigenti la sfida è legata alla comunicazione.

Fan e Moen (2022) hanno studiato la quantità di tempo dedicato al lavoro da parte dei lavoratori a distanza in base al sesso durante la pandemia COVID-19. Scoprono che soprattutto le donne che lavorano a distanza hanno dovuto affrontare le maggiori sfide, in quanto spesso hanno dovuto lavorare più a lungo per dimostrare la loro competenza, il loro impegno, o la loro capacità di gestire con equilibrio le esigenze dettate dai tempi di vita e dai tempi di lavoro (Fan e Moen, 2021). Altri studi dimostrano che il nuovo modo di lavorare mette in maggiore difficoltà i manager piuttosto che i collaboratori (Baert, Lippens, Moens, Weytjens e Sterkens, 2020), e che il nuovo modo di lavorare per molti significa minori opportunità di sviluppo della carriera (Bolisani, Scarso, Ipsen, Kirchner, e Hansen, 2020).

Alcuni hanno evidenziato come le organizzazioni si trovano ad affrontare alcuni paradossi mentre le work practices si modificano per effetto delle tecnologie digitali. In particolare, lo sviluppo delle tecnologie rende più visibili i comportamenti delle persone (e.g., dei dipendenti) (Leonardi e Treem, 2020). Tale trasparenza dei comportamenti individuali può creare tensioni, e quindi rendere problematica la gestione del personale e il coordinamento del lavoro da parte delle organizzazioni. Per contro, Leonardi e Treem (2020) mostrano che i dipendenti che lavorano in remoto sono portati ad assecondare le attese della propria organizzazione di essere continuamente connessi, o di rendere sempre visibili e tracciabili le loro prestazioni lavorative.

Metodologia di conduzione della ricerca

L’azienda oggetto dello studio era CarFleet una società internazionale di gestione e noleggio flotte operante in tutto il mondo. Nel 2017, il management ha deciso di estendere l’adozione di nuove modalità di lavoro basate sul cosiddetto “lavoro agile” (ex legge 81/2017 art. 18). Il percorso intrapreso da CarFleet è stato successivamente alterato da variabili connesse alla crisi pandemica, le quali hanno modificato sostanzialmente le motivazioni per l’adozione del lavoro a distanza, forzando il passaggio verso una totale remotizzazione del lavoro. Le fasi principali attraverso le quali l’organizzazione ha adottatto le nuove modalità di lavoro, ri-orientandole di volta in volta sulla base delle condizioni di contesto, sono così identificabili nella Figura. 1:

Figura 1. Le nuove modalità di lavoro per fasi

La ricerca è stata avviata qualche mese prima dell’inizio della crisi pandemica, per cui è stato possibile svolgere le attività in presenza, per poi proseguire con interviste e survey di approfondimento che sono state somministrate durante i primi mesi di lockdown. Si è partiti con 20 interviste a supervisor e collaboratori, tramite questionario semi-strutturato. Le interviste hanno consentito di identificare la situazione “ongoing” (no diffusive smart working) derivante dalla progressiva diffusione dei protocolli individuali per il cosiddetto “lavoro agile”, ma anche di cogliere – nella prima fase della crisi pandemica – l’impatto derivante dalla remotizzazione totale del lavoro.  L’analisi si è focalizzata sulle dimensioni organizzative maggiormente coinvolte nel “lavoro agile” ed il ruolo svolto da persone, organizzazione, tecnologie.

I risultati sono stati successivamente utilizzati per focalizzare alcune aree di indagine sulle quali coinvolgere un campione rappresentativo di 7 dirigenti responsabili di Area che avevano vissuto in prima persona i due anni seguenti alla riorganizzazione degli spazi di lavoro e di adozione graduale del lavoro agile. In questo caso è stata realizzata una indagine qualitativa, attraverso 14 domande a risposta aperta e chiusa, per cogliere gli elementi di convergenza/divergenza nel management riguardo uno scenario evolutivo basato sul digital working in cui il cosiddetto «lavoro agile» stava agendo da meccanismo abilitante, e rilevare quanto fosse alto l’orientamento verso possibili sinergie tra le strategie aziendali di e-business e le policy destinate a stimolare lo smart working.

Sia le interviste che l’indagine qualitativa sono state condotte in italiano, e un quadro dettagliato delle attività svolte è riportato in Figura 2. Oltre ai dati primari, sono stati acquisiti anche dati secondari sull’organizzazione, al fine di comprendere il contesto operativo entro il quale andava svolgendosi il graduale processo di adozione delle pratiche di smart working. Per l’analisi e la codifica dei dati è stato utilizzato il software Nvivo, per le sue particolari caratteristiche che consentono di organizzare, strutturare e analizzare dati qualitativi.

Figura 2. Tipologia di Dati

Evidenze emerse dalla ricerca

Nuove pratiche di lavoro: come evolvono le modalità di coordinamento e controllo

La remotizzazione del lavoro modifica sostanzialmente le modalità di coordinamento e controllo praticate dal management. Le evidenze emerse in letteratura confermano che il remote management rappresenta una della più ardue sfide culturali.

Per alcuni dipendenti è venuta a mancare la supervisione diretta esercitata su di loro rispetto a quando erano fisicamente presenti in ufficio e, pertanto, hanno avvertito una maggiore necessità di auto-impegnarsi e autoregolarsi all’interno del team. Nonostante la relazione capo-collaboratore assumesse connotazioni diverse da quelle a cui i dipendenti erano abituati, i risultati hanno mostrato che alla fine la mancanza di supervisione diretta ha indotto le persone a lavorare in modo più indipendente, assecondando un processo di auto-apprendimento verso una maggiore responsabilità. Sono emersi atteggiamenti diffusi tesi a mettere in mostra – agli occhi dei propri colleghi e del capo – il proprio lavoro per renderlo più trasparente e apprezzabile ai fini della valutazione della performance individuale. Mentre questo è apparso evidente per alcuni team, sono state evidenziate anche reazioni opposte che hanno stigmatizzato come il controllo, a volte, veniva vissuto come eccessivo, percependo una mancanza di fiducia da parte dei propri supervisor.

È evidente che i vecchi stereotipi riguardanti la necessità di una relazione in presenza sul posto lavoro sono ancora molto presenti, nei manager, nei supervisor come nei collaboratori. In merito a tali questioni, il middle management ha affermato che il lavoro a distanza li ha indotti ad essere più attenti al controllo, il che si è tradotto in un maggior numero di telefonate, video call o e-mail, perché tali modalità sono l’unico modo con cui ritengono di potersi assicurare la supervisione dei propri collaboratori. Nonostante comprendano le preoccupazioni provenienti dai loro team per l’eccessivo controllo, in quanto questo eccesso di riunioni e chiamate online è stato a volte percepito come una mancanza di fiducia.

Gli esiti della ricerca confermano l’esigenza in tali contesti di una considerevole evoluzione dalla cultura manageriale: dalla supervisione diretta, dal controllo di conformità, dove la relazione visiva con le persone e con l’output del lavoro è cruciale per assicurarsi la prestazione organizzativa, verso comportamenti gestionali che rendono naturale poter “gestire senza vedere”. Questo approccio può essere raggiunto dando priorità agli obiettivi dei task come riferimento nella relazione capo-collaboratore, perchè essi consentono ai dati di rendere evidente il risultato del lavoro svolto. La datafication è un fattore cruciale che può consentire ai manager di osservare le prestazioni e le attività dei dipendenti senza dover esercitare inutili pressioni su di loro.

Nuove pratiche di lavoro: come evolve il concetto di performance individuale

In linea con la precedente preoccupazione relativa all’eccessiva supervisione, un altro aspetto emergente della nuova modalità di lavoro è stato che i dipendenti hanno espresso la loro preoccupazione circa i loro orari di lavoro che, invece di essere flessibili, erano divenuti più lunghi del solito a causa del fatto che sentivano la tacita pressione a lavorare più a lungo per dimostrare che stavano effettivamente svolgendo il loro lavoro. Il timore è che ciò neghi di fatto i presupposti che sono alla base delle nuove pratiche di lavoro, e che possa giocare negativamente verso la diffusione di forme più evolute di smart working. Non essendo completamente pronti a impegnarsi nello smart working, i risultati hanno mostrato come il confine tra l’ufficio e la casa fosse confuso e che, nonostante i dipendenti fossero in grado di terminare il proprio lavoro negli orari stabiliti, ciò non avvenisse. La maggior parte dei dipendenti ha dichiarato che, oltre a rendersi disponibili su di un arco temporale più lungo, senza sfruttare la flessibilità che dovrebbe essere garantita da queste modalità di lavoro, si è ritrovata a lavorare per un numero di ore superiore a quelle contrattualizzate. In questo contesto, è mancato l’esempio dei supervisor e dei dirigenti, che adottavano gli stessi comportamenti e portavano i loro team a ritmi di lavoro estenuanti. A volte, questo è stato causato dall’aumento del numero di riunioni in remoto rispetto a quando si era fisicamente presenti in ufficio, il che sottraeva tempo alla concentrazione sui propri task. Nonostante le evidenze empiriche dimostrino che lo smart working contribuisca anche ad un aumento della produttività, va notato che ciò deve avvenire nelle giuste condizioni che garantiscano nel contempo anche il benessere lavorativo.

Nuove pratiche di lavoro: come evolvono le modalità di collaborazione, cooperazione e team working

Un’altra “area grigia” sulla quale le evidenze emerse dalla ricerca hanno fornito elementi interessanti di riflessione, è quella della cooperazione e del team working. Le risorse che operano in modalità di lavoro a distanza sembrano aver risentito in modo significativo del disagio derivante dalla perdita del lavoro di squadra una volta venuta meno la possibilità di condividere uno spazio fisico. Ciò è stato evidenziato dal fatto che le interazioni tra le persone hanno sofferto di un evidente disagio derivante dalla distanza fisica. Rarefacendosi le relazioni informali derivanti dalla condivisione dello stesso spazio fisico, è emersa la percezione di isolamento, ed alcuni dirigenti hanno evidenziato come diminuendo le opportunità di scambio di esperienze, e diminuita anche la spinta verso il miglioramento e l’innovazione dei processi operativi. Quasi per paradosso, per sopperire alla relazione in presenza, si sono intensificati gli scambi sincronici e asincronici online per soddisfare il bisogno di sentirsi allineati su compiti e obiettivi, e di rendere palese il proprio contributo a colleghi e supervisor. Tuttavia, nonostante l’organizzazione abbia investito in tecnologie e infrastrutture tecnologiche in grado di favorire lo smart working, la maggior parte della collaborazione a distanza è stata realizzata attraverso gli stessi canali utilizzati quando si è presenti fisicamente nello stesso spazio di lavoro (chiamate video/vocali, via e-mail) con uno scarso sfruttamento delle altre opzioni offerte dalle tecnologie digitali, come si è riscontrato in tutti i ruoli professionali osservati. In taluni casi, la ricerca ha evidenziato che alcune delle limitazioni all’uso della tecnologia siano legate alle preoccupazioni del management relative sulla privacy dei dati.

La remotizzazione derivante dalla crisi pandemica, tuttavia, ha contribuito notevolmente a forzare i comportamenti lavorativi delle persone, inducendoli a sfruttare più velocemente il portato delle tecnologie digitali che l’azienda metteva a loro disposizione. La rapida diffusione dell’uso degli ambienti di e-collaboration, ha aiutato a gestire la comunicazione in modo fluido, come un workflow, tracciarla e tenerne memoria, utilizzando più diffusamente la comunicazione asincrona in ambienti integrati, cogliendo l’utilità di funzionalità via via sempre più ricche, come ad esempio lavorare assieme (cooperative working), condividere obiettivi e attività (team collaboration), mettere in comune dati, informazioni, documenti (sharing), collaborare alla produzione di contenuti (content creation), comunicare in video e voce con gli altri, dentro e fuori (communicate), vivere e sviluppare relazioni sociali e professionali (networking), essere presenti, riunirsi anche a distanza (effective meetings), rendere disponibili le proprie competenze ed esperienze (collaboration expertise).

Considerazioni conclusive

Gli studi precedenti si sono concentrati sui presupposti e sulle conseguenze delle nuove pratiche lavorative, a livello individuale o organizzativo, senza però fornire sufficienti approfondimenti sulle difficoltà nell’attivare sempre più efficaci modalità di interazione uomo-tecnologia (Suchman, 2007; Suchman, 2012). È stata trovata conferma su quanto gli studi più recenti evidenziano riguardo l’importanza degli stili di leadership e del coordinamento nel lavoro a distanza (Dolce, Vayre, Molino, e Ghislieri, 2020). Si è dimostrato che la performance lavorativa e la soddisfazione lavorativa vanno di pari passo (Gajendran e Harrison, 2007) e hanno un effetto importante l’una sull’altra. Lo studio estende questa nozione dimostrando, attraverso un caso concreto, come gli incrementi di produttività non siano immediatamente correlabili alla modalità di lavoro, bensì al fatto che ai dipendenti venga assicurato un contesto lavorativo in cui flessibilità, strumenti, e spazi siano appropriati alle nuove modalità di lavoro. Altre evidenze emerse dallo studio integrano analisi simili per quanto riguarda il fatto che una malintesa concezione del lavoro a distanza, produce un allungamento dei tempi dedicati al lavoro, confondendo i confini tra lavoro e vita privata (Song e Gao, 2020). In conclusione, questo studio estende la comprensione delle nuove dinamiche uomo-tecnologia che andrebbero governate come fenomeno emergente durante la trasformazione organizzativa derivante dal lavoro digitale (Baptista et al., 2020).

Oltre a considerazioni di tipo teorico, lo studio svolto fa emergere anche alcune considerazioni pratiche:

La prassi seguita nel caso di studio presentato, come in molte altre esperienze realizzate da aziende avviatesi negli scorsi anni sullo stesso percorso, è stata quella di seguire una strategia di disseminazione graduale, definendo a priori il perimetro entro il quale agire le opportune leve organizzative, limitando inizialmente il target di diffusione ad alcune aree organizzative e famiglie professionali. La scelta di estendere gradualmente il perimetro di sperimentazione, è dovuto anche all’evidenza che le nuove pratiche di lavoro possono raggiungere un adeguato stadio evolutivo laddove si è realizzato un buon livello di digitalizzazione dei processi, e di apertura dei sistemi verso l’esterno via web o App (Nunziata 2021). Ciò consente da un lato la remotizzazione del lavoro in mobilità, e dall’altro all’azienda e ai manager di governare il lavoro delle persone senza limiti spazio-temporali, tramite workflow, tracking e sistemi di monitoraggio. Nel contempo, di governare la sicurezza dei dati aperti all’esterno tramite i cosiddetti trust services, gli “abilitatori della fiducia”, che facilitano la compliance normativa.

Occorre però considerare l’impatto che lo shock pandemico ha avuto sui processi decisionali di tutte le imprese. Infatti, gli shock conseguenti ad una situazione di crisi forniscono i presupposti per intraprendere azioni nuove e diverse, poiché, essendo caratterizzate da incertezza e ambiguità, le alternative continueranno ad aumentare e le situazioni in cui è possibile agire si manifesteranno in maniera sempre più innovativa. Queste condizioni sono decisamente favorevoli al cambiamento, sia sul piano organizzativo che dei comportamenti individuali, e possono essere idonee a incidere a livello profondo nel sistema organizzativo o, addirittura, a modificarne le caratteristiche strutturali. È chiaro che la crisi attivi un potenziale processo evolutivo, che, a sua volta, riporta le caratteristiche del sistema socio-organizzativo a nuovo stato di equilibrio. Pertanto, la modalità che il management adotterà per gestire una situazione di crisi, potrà produrre una sorta di effetto leva che andrà ad influenzare le dinamiche e le direttrici del cambiamento al fine di ritrovare condizioni utili per una nuova normalità.

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