Lavorare fuori dai luoghi di lavoro tradizionali: nomadi digitali e i nuovi spazi di lavoro

Negli ultimi anni si è diffuso un approccio dinamico al lavoro da parte dei cosiddetti nomadi digitali, cioè persone che sfruttano le opportunità dell’innovazione digitale per svolgere il proprio lavoro da remoto. Per assecondare la loro elevata mobilità geografica, i nomadi digitali hanno la necessità di disporre di spazi dove poter lavorare, spazi diversi dall’abitazione e dal classico ufficio. Gli spazi collaborativi (coworking, hub culturali e creativi, ecc.) possono rappresentare un luogo che va incontro ai loro bisogni pratici, logistici e sociali. Presentando i risultati di una ricerca qualitativa condotta su tre spazi localizzati in aree remote, l’articolo discute il possibile match tra caratteristiche degli spazi collaborativi e bisogni dei nomadi digitali. Dallo studio emerge come tali spazi possano  fungere non solo  da luoghi di lavoro confortevoli e attrezzati al remote working, ma anche da  realtà rivolte al community building e, soprattutto in aree svantaggiate, da promotori e fondamentali supporti dello sviluppo territoriale e socioeconomico.

La diffusione dei nomadi digitali e degli spazi collaborativi

I cambiamenti che hanno interessato il mondo del lavoro negli ultimi decenni, amplificati dalle recenti evoluzioni tecnologiche e dalla Pandemia da Covid-19, hanno influenzato significativamente il modo di lavorare. Tra i cambiamenti più rilevanti vi è il maggior grado di virtualizzazione e flessibilità che ha permesso ad un numero sempre maggiore di persone di lavorare “from anywhere, anytime”. (ILO-Eurofound, 2017). Tali cambiamenti sono stati accompagnati da un ripensamento degli spazi di lavoro che si sono progressivamente trasformati andando oltre l’idea del classico ufficio. Questo processo ha riguardato non solo la ridefinizione del layout degli uffici aziendali (Spreitzer, Garrett e Bacevice, 2015), ma anche il ripensamento dei luoghi e dei tempi di lavoro (Rinaldini et al., 2021). Come conseguenza, oggigiorno, la sede di lavoro non è più limitata al tradizionale ufficio aziendale o allo studio professionale, ma può includere l’abitazione stessa e altri luoghi, come caffè, biblioteche e, soprattutto, i cosiddetti spazi collaborativi (coworking, incubatori, hub di innovazione, ecc.).

Questi spazi si sono diffusi negli ultimi anni in tutte le regioni italiane andando a costituire un tratto caratteristico non solo delle città di dimensione medio-grande, ma anche dei piccoli centri urbani (Leone et al, 2021; Busacca, Montanari e Scapolan, 2022). Essi sono frequentati da un insieme molto eterogeneo di lavoratori: dai dipendenti che lavorano in smart-working ai cosiddetti nomadi digitali, ossia lavoratori da remoto che hanno una propria autonomia nella scelta dei tempi e, soprattutto, dei luoghi di lavoro, dimostrando una certa flessibilità nel lavorare e viaggiare contemporaneamente (Cook, 2023; Leone, Scapolan e Montanari, 2023).

I nomadi digitali, oltre a essere molto competenti in ambito informatico e digitale, si contraddistinguono per un’elevata mobilità e sono particolarmente sensibili al tema del work-life balance (Samant Raja, 2016; Ravicchio et al., 2015). Essi, infatti, tendono a voler conciliare il più possibile l’esperienza lavorativa con i propri interessi per i viaggi e la possibilità di vivere in diverse località anche solo in via temporanea durante le vacanze (la cosiddetta workation, unione tra le parole work e vacation) (Ohara, 2023).

La scelta di “vita nomade”, improntata al lungo periodo o solo in via temporanea, rende questa tipologia di lavoratori particolarmente propensa a frequentare gli spazi collaborativi. Con questo termine si fa riferimento a un insieme di ambienti di lavoro con caratteristiche differenti ma accomunati dalla condivisione di risorse, sia materiali che immateriali, da parte di chi li frequenta (Montanari, 2022). In particolare, tale “termine ombrello” include un ampio e variegato insieme di luoghi di lavoro, come coworking, incubatori/acceleratori, FabLab e hub d’innovazione (Mariotti et al., 2017), i quali sono frequentati da diversi utilizzatori: dipendenti, lavoratori autonomi, studenti, ricercatori e/o semplici cittadini. L’ambiente che si viene a creare si rifà ad un contesto di cooperazione e apertura, finalizzato a stimolare lo scambio di pensieri, idee e skills di ogni genere.

I nomadi digitali lavorano di frequente presso tali spazi collaborativi, in quanto attratti dalla possibilità di svolgere il proprio impiego in maniera autonoma e in un ambiente fisico confortevole. Contesti di questo genere, infatti, incentivano una certa forma di equilibrio tra il lavoro e la vita privata, fungendo da strategia di autodisciplina che struttura spazialmente e temporalmente le routine lavorative (Cook, 2022). Inoltre, consentono di attenuare la solitudine e la mancanza di connessioni personali stabili, criticità che caratterizzano lo stile di vita di individui che si spostano frequentemente (Woldoff e Litchfield, 2021).

Sebbene il fenomeno dei nomadi digitali sia in rapida diffusione, al momento in Italia mancano studi che indaghino puntualmente quali possano essere i loro bisogni professionali e le modalità con cui gli spazi collaborativi possano soddisfarli. Per colmare questo gap, abbiamo preso in esame tre spazi di collaborazione: il coworking di Pontremoli (Massa-Carrara), nato nell’ambito del progetto “Start-Working” e gestito dall’omonima associazione, l’hub Ex-Fadda di San Vito dei Nomanni (Brindisi), nato nell’ambito del programma per le politiche giovanili della regione Puglia “Bollenti Spiriti” e il coworking di Castelbuono (Palermo), istituito dopo la pandemia da Covid-19 da alcuni volontari in collaborazione con l’associazione “South Working”. Questi casi sono stati scelti in quanto rappresentativi di tipologie differenti di spazio collaborativo[1] e localizzati in “aree interne”, ossia zone remote e periferiche in termini di accesso ai servizi essenziali (salute, mobilità e istruzione).[2] Tale scelta è stata ispirata dal fatto che gli spazi collaborativi vengono considerati come un importante strumento di politiche di sviluppo territoriale di aree che, diversamente, sono oggetto di fenomeni quali l’invecchiamento, la riduzione della popolazione lavorativa e l’abbandono. Pertanto, diventa interessante capire in che modo gli spazi collaborativi possano rispondere ai bisogni di una categoria professionale altamente mobile come i nomadi digitali e che, dunque, possono diventare un fattore di contrasto alle tendenze socioeconomiche negative descritte in precedenza.

I casi sono stati studiati seguendo un approccio qualitativo basato sull’analisi di materiale documentale (siti internet degli spazi e articoli online), l’osservazione diretta e otto interviste condotte con gestori e frequentatori degli spazi.

L’hub ExFadda è gestito da una società di comunicazione locale in collaborazione con diverse organizzazioni locali (sia formali che informali, come collettivi e gruppi di cittadini). La natura molto improntata all’ambito culturale e sociale porta ExFadda a sostenere e ospitare realtà locali con un forte impatto sociale. Un esempio è il progetto che ha portato alla nascita di XFarm, azienda agricola che fornisce occupazione a persone bisognose e a cui sono stati destinati dei terreni confiscati alla criminalità organizzata per la sperimentazione agro-ecologica. Nonostante la forte connotazione locale ExFadda riesce ad intercettare anche turisti e professionisti provenienti da altre aree geografiche (regionali, italiane ed estere).

Lo spazio di Castelbuono è un coworking che offre 28 postazioni suddivise in tre aree open space, un’area ristoro e una zona all’aperto (per rispondere all’aumento di richiesta durante la bella stagione). La presenza di nomadi digitali nello spazio è continua e si sostanzia in numerosi utilizzatori, tutti lavoratori di multinazionali che consentono loro di lavorare a distanza full time e che si muovono in coppia, che si alternano durante tutto l’anno rimanendovi da un paio di giorni, ad una o alcune settimane, fino ad interi mesi o tutto l’anno. La concentrazione maggiore si registra in primavera e in estate, soprattutto in concomitanza di eventi locali come, ad esempio, il Festival di musica elettronica “Ypsigrock” che attira persone provenienti da tutto il mondo. Anche per le attività volte a coinvolgere la comunità locale (come, ad esempio, gli aperitivi in lingua inglese), lo spazio si avvale di un nomade digitale canadese che ha deciso di trasferirsi proprio a Castelbuono.

Lo spazio di coworking di Pontremoli nasce con l’intento di attrarre professionisti interessati a trasferirsi nella cittadina per un certo periodo di tempo. Esso offre 8 postazioni in un open space, una loggia per le distance calls e una sala riunioni. Oltre a fornire questi servizi, l’associazione Start-Working propone giornate di welcoming per inserire i nuovi arrivati nella comunità di start-workers e gli dà la possibilità di proporre e organizzare attività che più si connettono con i loro impieghi lavorativi o ideali sociali. Inoltre, l’associazione si impegna a mantenere aggiornati tutti i fruitori dello spazio sugli eventi in programma a Pontremoli e nelle zone limitrofe.

Il matching tra nomadi digitali e spazi collaborativi

Lo studio condotto ha confermato i bisogni che la letteratura riconosce di norma ai nomadi digitali e che possono variare da quelli di natura prettamente logistica, a quella sociale fino a quello dell’auto-determinazione. Nel primo caso rientrano tutti i bisogni relativi alla necessità di avere un luogo di lavoro abilitante in termini di connessione ad Internet stabile e di servizi di supporto (stampante, portineria, sale riunioni, ecc.). Il secondo tipo di bisogni riguarda, invece, la sfera culturale e sociale e, in particolare, l’interesse dei nomadi digitali a vivere situazioni che, non solo, contrastino la solitudine facendoli sentire parte di una comunità ma che soddisfino anche le loro esigenze ludiche e il loro bisogno di confrontarsi con un ambiente culturalmente stimolante. Infine, il bisogno di auto-determinazione fa riferimento al desiderio di autonomia nel costruirsi la propria carriera scegliendo dove vivere e lavorare.

Gli spazi collaborativi investigati hanno ben chiari questi bisogni e cercano di proporre risposte adeguate nel tentativo di offrire, innanzitutto, un ambiente di lavoro accessibile, funzionale e piacevole. Ad esempio, la disponibilità (a prezzi modici o addirittura gratuita), in una location suggestiva, di postazioni di lavoro e di servizi volti a rendere l’esperienza lavorativa confortevole e capace di soddisfare i bisogni di funzionalità e benessere lavorativi viene ben rappresentata dai coworking di Castelbuono e Pontremoli. Anche in ExFadda la disponibilità di spazi e attrezzature di diverso tipo (laboratori attrezzati, teatro, sale prove, ecc.) è funzionale ad accogliere lavoratori ed appassionati dell’arte, dello spettacolo e delle industrie culturali (fotografia, settori dell‘artigianato locale, ecc.).

Gli spazi collaborativi sono importanti anche per soddisfare i bisogni culturali e di socialità. In tal senso, essi organizzano un’ampia serie di eventi e attività che contribuiscono a creare un ambiente culturale e sociale di riferimento. Esemplare in tal senso è il caso ExFadda, che nasce proprio come un luogo dedicato all’aggregazione e alla socialità, che vengono favorite dalla presenza dei diversi spazi disponibili (caffetteria, giardino, centro ludico, ecc.) e da iniziative ludiche e artistico-culturali, che inizialmente erano rivolte alla comunità (prevalentemente giovanile) locale, ma che progressivamente hanno attratto nello spazio appassionati e addetti ai lavori proveniente dalla scena nazionale e internazionale. Specificatamente, la Word Music Academy di ExFadda accoglie in modalità residenziale nel mese di agosto artisti, professionisti  e appassionati di musica etnica provenienti da diverse aree geografiche. Nel caso di Pontremoli, lo scopo dell’associazione Start-Workingè proprioquello dicoinvolgere attivamente i nomadi digitali creando un senso di comunità. Le attività di welcoming, per esempio, hanno lo scopo di andare incontro alla necessità di creare un ambiente di familiarità e collaborazione in cui è facile condividere esperienze, pensieri e competenze, arricchendo anche la comunità e il territorio. Anche lo spazio di Castelbuono cerca di soddisfare i bisogni sociali dei nomadi digitali organizzando diversi eventi e attività che mirano ad alimentare una fitta rete di scambi professionali e relazioni sociali.

Infine, la libertà di scegliere dove vivere, lavorare e viaggiare persiste come bisogno dei nomadi digitali evidenziandone l’autodeterminazione e l’autonomia (Reichenberger, 2018; Thompson, 2019).

Ciò è evidente nel caso dello spazio di Castelbuono nato sulla spinta della volontà di lavoratori a distanza originari dell’area di tornare a vivere e lavorare nel loro paese d’origine e oggi scelto anche da lavoratori stranieri le cui aziende lasciano loro la libertà di decidere da dove lavorare. Lo spazio collaborativo in questo senso può fungere sia come strumento equilibrante, facilitando cioè una maggiore autodisciplina nell’organizzazione dell’attività lavorativa, sia come mezzo attraverso cui conciliare esigenze lavorative e bisogni extra-lavorativi, come quelli di viaggi e turismo o di vivere in zone attrattive da un punto di vista paesaggistico-culturale. Ciò può valere ad esempio per chi frequenta lo spazio di Pontremoli dove le persone hanno a disposizione un posto terzo (cioè diverso sia dal proprio ufficio sia dalla propria abitazione) e hanno la possibilità di vivere l’esperienza in un borgo appenninico contraddistinto da storia e natura.

Alcune considerazioni finali

Lo studio condotto ha evidenziato come gli spazi collaborativi possano offrire un ambiente di lavoro in grado di soddisfare i bisogni dei lavoratori che adottano uno stile di vita mobile. Oltre alla disponibilità di tecnologie adatte a sostenere il lavoro da remoto, le realtà investigate evidenziano l’importanza delle iniziative organizzate per creare un ambiente di lavoro piacevole e, soprattutto, in grado di creare un senso di comunità nei loro utilizzatori. Da questo punto di vista, gioca un ruolo importante la capacità di creare un senso di identità condiviso e coerente non solo con l’identità professionale dei lavoratori nomadi, ma anche con quella del territorio di riferimento. Da questo punto di vista, gli spazi collaborativi non rappresentano solo nuovi luoghi di lavoro, ma anche importanti attori di sviluppo territoriale. Attraverso le loro attività, infatti, possono svolgere un’importante funzione di broker attraendo in un territorio lavoratori da altre aree geografiche e mettendo in relazione questi con le attività locali (culturali, sociali, economiche). Ecco che così, soprattutto quando localizzati in aree svantaggiate, essi possono diventare rilevanti strumenti per l’organizzazione di politiche pubbliche a supporto dello sviluppo socioeconomico di un territorio.

Bibliografia

Busacca, M., Montanari, F., & Scapolan, A.C. (2022). Spazi collaborativi: un nuovo modo di lavorare ma con radici profonde nelle istituzioni locali. Sociologia Urbana e Rurale, 71-89.

Cook, D. (2022). Breaking the contract: Digital nomads and the state. Critique of Anthropology, 42, 3: 304–323.

Cook D. (2023). What is a digital nomad? Definition and taxonomy in the era of mainstream remote work. World Leisure Journal, 65, 2: 256-275.

ILO-Eurofound (2017). Working anytime, anywhere: The effects on the world of work. Luxembourg, Luxembourg/Geneva, Switzerland: Publications of the Office of European Union and the International Labor Office.

Leone L., Scapolan, A. C., Montanari, F. (2023). I lavoratori digitali sognano luoghi di lavoro digitali? L’importanza degli spazi fisici condivisi nel sostenere i lavoratori digitali. Prospettive in Organizzazione, 1: 20-22.

Leone, L., Scapolan, A. C., Razzoli, D., Rinaldini, M., & Montanari, F. (2021). Gli spazi collaborativi in Emilia-Romagna: caratteristiche e ripresa post covid. Economia e Società Regionale, 1: 85-97.

Mariotti, I., Pacchi, C., & Di Vita, S. (2017). Co-working spaces in Milan: Location patterns and urban effects. Journal of Urban Technology, 24, 3: 47-66.

Montanari, F. (2022). Spazi collaborativi in azione. Creatività, innovazione e impatto sociale. Franco Angeli, Milano

Ravicchio V., Repetto M., & Trentin G. (2015). Formazione formatori sullo smart working per disabili: come valutarne le ricadute. Tecnologie Didattiche, 23, 2: 102.

Reichenberger, I. (2018). Digital nomads – a quest for holistic freedom in work and leisure. Annals of Leisure Research, 21, 3: 364-380.

Rinaldini, M., Montanari, F., Rodighiero, S., & Scapolan, A. C. (2021). Il time crafting negli spazi di coworking. Studi Organizzativi, 67-92.

Samant Raja, D. (2016). Bridging the disability divide through digital technologies. Washington, D.C: World Bank Group.

Spreitzer, G., Garrett, L., & Bacevice, P. (2015). Should your company embrace coworking? MIT Sloan Management Review, 57, 1: 27.

Thompson, B. Y. (2019). The digital nomad lifestyle: (remote) work/leisure balance, privilege, and constructed community. International Journal of the Sociology of Leisure, 2, 1-2: 27–42. Woldoff, R. A., & Litchfield, R. C. (2021). Digital nomads: in search of freedom, community, and meaningful work in the New economy. Oxford, UK: Oxford University Press.


[1] Lo spazio ExFadda a San Vito dei Normanni (BR) rientra nella categoria degli hub culturali e creativi (in questo caso specifico, anche sociali) ossia spazi che offrono ad imprese e lavoratori creativi atelier, studi e sale per eventi culturali, mentre gli spazi di Pontremoli (MS) e Castelbuono (PA) si connotano come spazi di coworking, ovvero uffici open space condivisi da lavoratori con background professionali e organizzativi differenti.

[2] Si fa riferimento alla classificazione proposta dalla “Strategia Nazionale per le Aree Interne” (SNAI) messa a punto dall’Agenzia per la Coesione Territoriale.

Autori

Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

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