Parenti serpenti? Relazioni, emozioni e generazioni in conflitto nelle imprese familiari

Il contributo analizza le dinamiche causali che legano le caratteristiche peculiari delle aziende familiari con la genesi e l’evoluzione delle diverse forme di conflitto organizzativo. Il framework teorico che costituisce la griglia interpretativa di questo studio è quello del Socio-Emotional Wealth. Nell’analisi si assume che la valenza positiva o negativa attribuibile al conflitto organizzativo, è interpretabile proprio a partire dalla tipologia e della natura delle manifestazioni conflittuali. Nell’articolo, in particolare, si è sviluppata una mappatura originale delle condizioni situazionali ed organizzative che tipicamente determinano lo sviluppo delle diverse forme di conflitto in un Family Business, con particolare riferimento al cosiddetto “conflitto relazionale”, manifestazione tipicamente considerata disfunzionale per le performance d’impresa. La costruzione di un modello interpretativo delle determinanti del conflitto relazionale si configura come un possibile strumento per l’assessment organizzativo finalizzato all’analisi di processi prodromici rispetto a manifestazioni conflittuali potenzialmente patologiche e degenerative per le aziende familiari.

Introduzione

La letteratura organizzativa di “matrice” Family Business (FB) sembra aver consolidato l’ipotesi secondo cui la fisiologica condizione conflittuale che caratterizza qualsiasi sistema organizzativo, ritrova nelle aziende familiari un contesto ancora più favorevole per sviluppare ed amplificarsi. In questo senso, il conflitto sembra essere un fenomeno legato fisiologicamente a queste aziende (Sharma, 2004).

Le Family Firms (FFs), infatti, sono tipicamente considerate sistemi in cui sono ontologicamente situati elementi d’incomprensione, disaccordo, interferenza, competizione, sentimenti di rivalità e gelosia, in misura superiore o comunque con una connotazione di natura diversa dal resto delle imprese (Miller e Rice, 1988). La commistione tra sistemi, familiare e di business, si connota come un fattore importante da cui i conflitti possono sorgere ed essere risolti, influenzando i risultati aziendali, sia in senso positivo sia negativo. La diversità di prospettive, aspirazioni, attese dei membri della famiglia, se, da un lato, può costituire una preziosa fonte di rinnovamento ed una risorsa per l’innovazione (Cosier e Harvey, 1998), può, di contro, determinare situazioni di conflitto distruttivo che possono minare la capacità di sviluppo e addirittura la stessa sopravvivenza del FB. Molti studi confermano, infatti, che solo una ristretta percentuale di FF sopravvive oltre la terza generazione a causa di conflitti interni alla famiglia che si riflettono sulla gestione dell’impresa (Di Mascio, 2007).

In questo contributo dopo aver illustrato le ragioni per cui le caratteristiche di un’azienda familiare definiscono un contesto che rende uniche ed esclusive le dinamiche e il governo dei conflitti intra-organizzativi, si svilupperà una tassonomia delle principali variabili che possono determinare lo sviluppo di conflitti di relazione nei FBs.

Il framework teorico che costituisce la griglia interpretativa dell’analisi è quello del Socio-Emotional Wealth (SEW) (Gómez-Mejía et al. 2007): un approccio che, a partire da una quindicina di anni a questa parte, sta diventando sempre più utilizzato nella letteratura manageriale ed organizzativa per interpretare l’influenza della famiglia sulle scelte strategiche, sull’assetto organizzativo e sulle dinamiche comportamentali dei FBs (Laffranchini et al., 2020; Leppäaho e Metsolam, 2020). Tale filone della letteratura suggerisce che nelle aziende familiari l’interazione tra dimensioni economiche e “dimensioni SEW” crea un set unico di caratteristiche e condizioni che impattano sui processi decisionali, sulle dinamiche relazionali delle FF e sulla loro stessa sopravvivenza nel tempo (Berrone et al., 2012; Matherne et al., 2017).

Leppäaho e Metsolam (2020, 9) definiscono il concetto di SEW come il complesso dei “non-economic and affective goals and attachments—such as emotional connection to the business, identification with family values, and family control over generations—that the family owners want to achieve and preserve in their family firms”. In linea di continuità con tale prospettiva, Gómez-Mejía et al. (2007, 106) identificano le dimensioni SEW come: “non-financial aspects of the firm that meet the family’s affective needs, such as identity, the ability to exercise family influence, and the perpetuation of the family dynasty”. Si tratta, dunque, di un “concetto ombrello” di carattere multidimensionale che comprende una pluralità di elementi quali l’orientamento alla continuità nel controllo e nell’identificazione della famiglia con l’azienda, i reciproci condizionamenti di natura emotiva delle dimensioni familiari e aziendali (emotional attachment), la rappresentazione della famiglia nel task environment dell’azienda, la successione e la continuità generazionale, nonché, ovviamente, gli obiettivi di carattere prettamente economico (Nason et al., 2019).

La sovrapposizione tra dimensioni SEW e dimensioni economiche identifica una caratteristica di unicità delle FF potenzialmente generativa di conflitti, competizioni e contraddizioni intra-organizzative.

Nella parte rimanente di questo contributo, saranno analizzate – attraverso un’analisi della letteratura coerente con il framework di riferimento – in primo luogo, le diverse tipologie di conflitto organizzativo e le relazioni con le performance nel FB; quindi, ci si focalizzerà sulla mappatura delle principali determinanti il conflitto relazionale nelle FF.

Tipologie di conflitto organizzativo e performance nel Family Business

L’assunto di base di questo lavoro è rinvenibile nel fatto che il conflitto non si configura come un fattore necessariamente negativo per le organizzazioni (in generale, e per le aziende familiari in particolare) e che livelli moderati di determinate tipologie di conflitto possono contribuire: (1) a migliorare le capacità dei decision makers nell’individuare, discutere, comprendere le informazioni e i problemi chiave dell’azienda e i cambiamenti del contesto; (2) incrementare il livello di creatività ed innovazione nei processi di sense making, decision making e knowing (Cosier ed Harvey, 1998); (3) sviluppare mappe cognitive ed opinioni condivise dai membri del gruppo e /o dell’azienda (Astrachan e McMillan, 2003).

Questo approccio si fonda sull’insieme di elaborazioni focalizzate sui conflitti nei gruppi di lavoro (ad es. Jehn, 1995; Jehn e Mannix, 2001), che hanno portato alla concettualizzazione di tre tipologie di conflitti interpersonali: il relationship conflict, il task conflict ed il process conflict.

Il relationship conflict, o conflitto affettivo, può essere definito come la consapevolezza della presenza di forme d’incompatibilità personali, includendo la presenza di tensioni e di frizioni tra gli elementi del gruppo (Jehn, 1997b). Questa tipologia di conflitto si configura, in altri termini, come la percezione da parte di un attore, dell’ostilità, latente o manifesta, e/o dell’interferenza di un altro attore; tipicamente è associabile a componenti affettive come rabbia, invidia, irritazione, risentimento, paura, frustrazione (Jehn e Mannix, 2001). Harvey e Evans (1994) hanno dimostrato che nel FB il relationship conflict può derivare “dalla presenza dominante della famiglia che stabilisce le regole e ha il potere finale di decisione strategica, dalla confusione tra ruoli familiari e ruoli organizzativi, dall’assenza di sistemi e strutture organizzative per gestire i conflitti, dall’assetto delle strutture organizzative formali e dei sistemi operativi, dalle caratteristiche dei sistemi di incentivazione e dal governo della successione generazionale” (p. 345).

Un’ampia letteratura teorica ed empirica ha dimostrato che il conflitto relazionale è correlato ad un livello inferiore nelle performance individuali e di gruppo e ad un minore livello di soddisfazione individuale, riducendo anche le probabilità che il gruppo torni a lavorare insieme in futuro (Jehn, 1995).

La seconda tipologia conflittuale cui si fa riferimento nei già richiamati contributi di Jehn (1995, 2001) è il task conflict. Questa forma è descrivibile come la cognizione di differenze nei punti di vista e/o nelle opinioni con riferimento alla definizione degli obiettivi del gruppo, in modo analogo a quanto si verifica nel caso di un conflitto che ha le proprie basi in differenze di tipo cognitivo (Jehn, 1995). E’ consolidata in letteratura la tesi secondo cui il task conflict, a certe condizioni di frequenza ed intensità, può essere considerato positivo per le prestazioni di un gruppo e, a livello individuale, relativamente al livello di soddisfazione dei partecipanti. Il ragionamento alla base di tale interpretazione è che questa manifestazione conflittuale può considerarsi come una sorgente di pensiero divergente, in grado di incoraggiare l’uso efficace delle informazioni disponibili. Inoltre, in termini di risultato, la sintesi che emerge dal task conflict è generalmente valutata come superiore alle prospettive individuali, prese in esame singolarmente.

L’ultima tipologia di conflitto individuata da Jehn e Mannix (2001) è il process conflict. Tale fattispecie è definibile come la consapevolezza della presenza di contrasti rispetto all’individuazione delle modalità attraverso cui gli obiettivi devono essere raggiunti, sul metodo di delega delle responsabilità e, conseguentemente, sulla distribuzione delle deleghe nel gruppo (Jehn, 1997b). In altri termini, il process conflict è correlato alle scelte relative alle modalità di svolgimento di un’attività e alla qualità/quantità di responsabilità e di empowerment concessa all’attore delegato.

I risultati empirici che si focalizzano sulla relazione tra process conflict e performance sono, ad ogni modo, limitati, e in alcuni casi anche contraddittori. In un numero circoscritto di studi cross-sectional, alti livelli di process conflict sono risultati negativamente correlati alla performance ed alla soddisfazione degli individui (Jehn, 1997a).

Diversamente, in un recente studio condotto sulle dinamiche del conflitto nel tempo, si è verificato che team di lavoro in grado di produrre prestazioni di alto livello presentano alti livelli di process conflict nelle fasi finali della interazione di gruppo (meno nelle fasi di inizio nel mezzo) rispetto a gruppi che realizzano performance mediocri (Jehn e Mannix, 2001). E’ da rilevare che in letteratura non è pienamente condivisa la distinzione concettuale tra task e process conflict e spesso le due forme sono inquadrate nell’unica fattispecie del conflitto cognitivo.

Nel paragrafo successivo si cercherà di sistematizzare l’insieme dei fattori situazionali ed organizzativi che tendono ad impattare sulle probabilità che una specifica manifestazione conflittuale, il relationship conflict, si sviluppi e si manifesti in un’azienda familiare, con un impatto potenzialmente negativo sulle performance organizzative.

Una mappatura delle determinanti il conflitto relazionale nel Family Business

La costruzione della mappa concettuale relativa alle origini e alle determinanti di episodi conflittuali nel FB è particolarmente problematica proprio a causa dell’articolazione complessa delle dinamiche familiari.

Le relazioni tra persone legate da rapporti di parentela sono giudicabili, infatti, tenendo conto del grado di fiducia reciproca, della presenza di canali di comunicazione costruttivi, del livello d’intenzionalità nella conservazione dell’impresa all’interno della famiglia, della disponibilità alla delega della generazione uscente e alle aspettative della generazione emergente. Allo stesso modo, tali variabili sono a loro volta condizionate dalla struttura familiare e dai modelli comportamentali e valoriali dominanti nell’azienda di famiglia.

Nella tavola 1 è rappresentata una mappatura originale delle fonti, situazionali ed organizzative, del conflitto nel FB.

 

Tavola 1 – Origini e determinanti del conflitto nel FB

Fonte: elaborazione dell’autore

L’origine dei conflitti è interpretata come funzione di tre condizioni fondamentali del FB: la complessità dei rapporti duali famiglia-impresa; l’intersezione delle regole familiari e di business; le peculiarità delle fonti di potere nelle FF.

Le origini conflittuali sono circoscritte in otto dimensioni, inquadrate nell’ambito delle intersezioni di tre aree: sistema famiglia, sistema di business, dipendenti esterni alla famiglia.

Le otto dimensioni sono le seguenti:

  1. Giustizia distributiva e procedurale;
  2. Conflitti di ruolo;
  3. Conflitto famiglia/lavoro (spillover theory);
  4. Conflitti identità (di genere, rivalità tra fratelli, conflitto intergenerazionale);
  5. Fautlines;
  6. Livello e qualità della comunicazione;
  7. Successione nella leadership;
  8. Dispersione generazionale.

 

Di seguito si analizzerà la relazione tra tali dimensioni e sviluppo del conflitto interpersonale nelle aziende familiari, con un’attenzione particolare al legame con il relationship conflict, tipologia conflittuale considerata tipicamente disfunzionale per l’efficacia dell’azione organizzativa (Jehn, 1995, 1997a).

Equità distributiva e procedurale

La principale implicazione della teoria dell’equità (Tseng, e Kuo, (2014) per la gestione delle ricompense è che i dipendenti valutano quanto ricevono confrontandosi con gli altri e che i loro comportamenti ed atteggiamenti sono fortemente influenzati da tali confronti. Il corollario di questa tesi è che le valutazioni dei dipendenti derivano dalle loro percezioni. La percezione di equità interna, in particolare, influenza la propensione ad accettare incarichi e responsabilità, il desiderio di ottenere promozioni, l’attaccamento verso l’organizzazione, l’inclinazione a cooperare, ma anche la tendenza a sviluppare sentimenti di ostilità o gelosia, trasferendo potenziali episodi di task conflict in occasioni di relationship conflict.

Il tema appare ancora più complesso nelle aziende familiari dove tipicamente si strutturano suddivisioni naturali e pre-esistenti, nel management in particolare, tra membri della famiglia e dipendenti non familiari (cfr. Bork, 1986; Kets de Vries, 1996;).

Le dinamiche conflittuali non si legano esclusivamente alla giustizia distributiva, ovvero a come le persone (dipendenti familiari e non familiari) credono di essere trattate (rispetto ad altri soggetti) in relazione ai risultati del lavoro, all’impegno e all’applicazione; ma anche (in qualche caso, soprattutto) alla giustizia procedurale, ossia ai giudizi ed alle percezioni d’equità, relative alle modalità con cui sono effettivamente assunte le decisioni circa le materie e i temi che influenzano l’attività lavorativa e le procedure in tema di aumenti di stipendio, avanzamenti di carriera, politiche formative, ecc.

Lubatkin et al. (2003) impiegano la teoria della giustizia organizzativa come griglia interpretativa della binomia motivazione/cooperazione vs. demotivazione/conflittualità nel management delle FF. La tesi di base è che tali variabili dipendano dalla percezione d’imparzialità distributiva dei manager, intesa come la valutazione dei criteri di assegnazione degli incentivi (reddito, gratificazioni non monetarie, benefit, status) in relazione ai risultati ottenuti, all’impegno e agli sforzi esibiti. In sostanza, se si percepisce che il leader/proprietario prenda decisioni che gratificano le immediate necessità dei membri di famiglia in opposizione alla creazione di valore per l’impresa, i comportamenti saranno percepiti come ingiusti, limitando la motivazione a partecipare e produrre degli attori che si sentono “colpiti”, e, soprattutto, attivando quelle negative emotion (Hartwick e Barki, 2002) che possono condurre a traslare il conflitto di interessi (legato ai criteri di compensation) ad una dinamica di conflitto relazionale (Jehn, 1995).

Lubatkin et. al. (2003) definiscono, in particolare, due diversi modelli di comportamento nella gestione delle decisioni, distinguendo tra fondatori “previdenti” da quelli che soffrono di “altruismo miope”. Mentre i previdenti sono capaci di far coesistere la gratificazione particolare dei bisogni personali dei familiari con linee di pianificazione e disegni operativi tesi a favorire la creazione di valore nel lungo periodo dell’impresa, gli “altruisti miopi” sono coloro che incontrano difficoltà nell’intraprendere azioni che possano determinare ostacolo ad aspettative ad esigenze oggettive dei membri della famiglia; sono soggetti, cioè, che possono violare le regole organizzative della giustizia procedurale e distributiva. L’altruismo miope, in questa concezione, può essere considerata una fonte di influenza e distorsione del processo decisionale orientata a sviluppare conflitti sia del tipo task e process, sia, soprattutto, di tipo relazionale; conflittualità rinvenibile sia all’interno dell’assetto familiare (quando, ad esempio, l’altruismo miope è legato ad un figlio piuttosto che l’altro) sia tra membri della famiglia e dipendenti non familiari.

Conflitti di ruolo

Nelle imprese familiari le relazioni assumono un connotato particolare, in quanto sono espressione di una rete interna di rapporti personali (creati in precedenza) che si sovrappongono a relazioni di lavoro (Carson, Cromie, McGowan, Hill, 1995). L’origine dei conflitti di ruolo nel contesto delle FF è tipicamente rinvenibile nel grado di confusione, ambiguità, disorientamento ed incertezza nei processi di costruzione di ruolo che si sviluppano quando le persone della stessa famiglia lavorano insieme e/o quando il FB seleziona dipendenti che non appartengono al sistema familiare.

I conflitti di ruolo sono tipicamente associati, nella letteratura organizzativa, a conflitti affettivi, di tipo relazionale.

Nella parte centrale della tavola 2 è riportata, a titolo esemplificativo, la sovrapposizione tra la figura dell’imprenditore, nei suoi differenti ruoli in ambito aziendale e in ambito familiare e la governance aziendale. L’imprenditore, nei due sistemi, può assumere ruoli differenti: imprenditore in senso stretto, manager, azionista, figura istituzionale; nel sistema familiare può ovviamente essere analizzato come leader di famiglia, padre o figlio, fratello o marito. Questi ruoli, si intersecano tra loro e tendono a riflettersi nella governance familiare e quindi sulle modalità di gestione dell’impresa. L’organizzazione formale della governance, inoltre, nei suoi diversi momenti (consigli di amministrazione, comitati direttivi, assemblee o riunioni di famiglia) contribuisce a comprendere la complessità della FF in funzione della complessità familiare.

 

Tavola 2 – Ruoli personali, assetto proprietario e crescita dell’impresa

Fonte: Di Mascio (2007)

Spillover theory

Nella psicologia sociale sono cinque i modelli descrittivi ed interpretativi della relazione tra vita familiare e lavoro; quello tipicamente applicabile ed applicato in un contesto di FB è la spillover theory (Clark, 2000).

La spillover theory si inquadra nell’open-systems approach, secondo cui si assume che “events at work affected events at home and the reverse” (Clark, 2000, p. 749). Secondo la spillover theory, nelle dinamiche di work/family balance, esisterebbe una sostanziale somiglianza tra quanto accade in ambito lavorativo e quanto accade nella vita familiare, nella forma di una causalità lineare del tipo “serenità/conflittualità lavorativa implica serenità/conflittualità nel sistema domestico”.

Tale teorie assumono che l’esperienza della persona al lavoro influenzi ciò che la persona fa al di fuori del lavoro. L’effetto di “espansione” è in generale presentato in termini di relazioni positive, ma è anche possibile che si realizzi un processo inverso, in una logica per cui la conflittualità interpersonale che si sviluppa in uno dei due sistemi si amplifica nell’altro, in misura tanto maggiore rispetto all’intensità dell’interdipendenza. E’ evidente che tale intensità risulta alta in un contesto cross-border come quello delle FF.

Conflitti di identità

In questa macro-categoria si comprendono i processi conflittuali, tipicamente legati alla forma del relationship conflict, che si strutturano in ambito prettamente familiare ma che impattano su quello di business.

Non appare coerente con l’oggetto di questo lavoro, focalizzarsi sulle cause e/o sulle dinamiche di conflitti, tipicamente affrontati nell’ambito della psicologia sociale e della sociologia. Tuttavia, a scopo esplicativo, nella tavola 3, si è rappresentata la complessità delle determinanti del conflitto intra-familiare.

Le caratteristiche del sistema di valori e i modelli di comportamento familiare da un lato e le caratteristiche della struttura familiare dall’altro (demografia e competenze), sono individuate come variabili “moderate” delle dinamiche conflittuali intra-generazionali (ad es. sibling rivalry o gender conflicts) e inter-generazionali (ad es. parent/child relationship).

 

Tavola 3 – Le variabili che influenzano la conflittualità nel “sistema famiglia”

Fonte: elaborazione dell’autore

L’unicità del conflitto nelle FF, in una consolidata concezione nella letteratura manageriale sul FB, può essere spiegata proprio a partire dagli effetti delle “relazioni psicodinamiche familiari” sull’assetto e le relazioni organizzative, che non interessano altri tipi di aziende; si fa riferimento, ad esempio, alla rivalità tra fratelli, al desiderio della generazione entrante di autonomia e/o differenziazione dai genitori, agli scontri coniugali, all’overlap tra percezioni, stereotipi e pregiudizi in ambito familiare e lavorativo (ad es. Barros et al. 2017).

Il potenziale disfunzionale di tali effetti è legato alla straordinaria capacità di trasformare i conflitti d’interesse legati a questioni di potere organizzativo in conflitti di tipo relazionale.

Faultlines

L’argomento principale su cui si basa il concetto di “faultlines[1] è che la presenza di queste divisioni tra gruppi di persone all’interno di un team ha il potenziale per determinare conflitti di varia natura (cognitivi e relazionali) tra sottogruppi di individui che possono risultare dannosi per l’efficienza del team stesso.

L’argomento centrale che si porta avanti è che il contesto dell’impresa a controllo familiare determini suddivisioni naturali e pre-esistenti all’interno del management (in particolare del top management team) tra membri della famiglia ed altri top executive. Questa originale applicazione del concetto di faultlines deriva dalla concezione di Li ed Hambrick (2005), secondo cui si individuano faultlines quando fazioni di individui pre-esistono all’interno di un certo contesto.

Secondo Corbetta et al (2007) l’applicabilità del concetto di faultlines è correlabile al fatto che i membri della famiglia e gli altri top executive differiscono gli uni dagli altri lungo una serie di dimensioni. Tra queste, la cultura familiare, l’educazione, la soddisfazione sul lavoro, la coesione, la visione e gli obiettivi di lungo vs. breve termine sono tra le più importanti. Inoltre, i top manager non familiari rischiano di soffrire di una competizione interna con i membri della famiglia, con la conseguenza di sentirsi troppo spesso estromessi dalle posizioni manageriali di vertice (Chua et al. 2003). In questa prospettiva, l’effetto negativo delle faultlines esiste quando sia i membri della famiglia che i manager non familiari sono rappresentati nel top management e tende ad essere maggiore quanto più le due fazioni si equivalgono in termini numerici. Alcuni autori  hanno messo in risalto che proprio la presenza esclusiva di familiari nelle cariche direttive riduce i conflitti interni e porta alla massimizzazione del valore per l’impresa. In particolare, dallo studio di Ensley e Pearson (2005) emerge che team manageriali a base unicamente familiare hanno maggiore coesione e visione strategica condivisa e, al tempo stesso, minore conflittualità rispetto a team manageriali non familiari.

Problemi di comunicazione

Nel contesto dell’analisi delle dinamiche familiari le modalità comunicative tra i membri della famiglia – sia durante che nel periodo precedente o successivo alla trasmissione agli eredi – non sono state oggetto di particolare interesse. Rari i contributi che danno risalto alle criticità facenti seguito alla scarsa circolazione delle informazioni tra fondatore ed erede, all’insorgere di conflittualità strategiche o alla mancata condivisione della vision organizzativa. Taluni autori (ad es. Harris et al., 2004) sottolineano la tendenziale assenza di strategie di gestione dei processi di comunicazione nelle aziende familiari, così come l’informalità diffusa dei rapporti interpersonali; tali lavori si inquadrano tipicamente nel filone di analisi delle relazioni tra management familiare e dipendenti non familiari. In molti casi, però la comunicazione è limitata (in termini quali-quantitativi) sia in ambito familiare sia in ambito aziendale. Secondo Danes at al. (2002): “Members of a family group of coworkers quite often fight about deeper issues than the ones with which they claim to be incensed. Often, their reasons for sustaining their conflict are stronger than their ostensible desire to resolve it […] A strong family business calls for open communication about goals and a desire to resolve misunderstandings” (p. 243).

Zocchi, (2007), rileva come nelle FF sono rari gli episodi di formalizzazione e condivisione delle decisioni. “In azienda come a casa, la comunicazione con i familiari per la generazione dei padri è confinata in occasionali momenti di confronto con i figli ed ancor più episodica con altri soggetti” (p. 5).

Alcuni contributi (Steier, 2001) sulle dinamiche familiari in azienda sembrano suggerire che l’esistenza di buone relazioni a livello familiare si accompagni ad un trasferimento meno traumatico del potere e del patrimonio, contribuendo positivamente, a sua volta, ad una soddisfacente performance dell’impresa nel periodo post-successorio.

Zocchi (2007) ha elaborato una verifica empirica dell’intensità della frequenza dei processi di comunicazione in un campione rappresentativo di PMI familiari. Dall’analisi emerge che solo un’area minoritaria di giovani imprenditori di livello socioculturale medio-alto (circa il 20% degli intervistati) è conscia dei limiti di un modello culturale orientato alla scarsa circolazione e condivisione delle informazioni e della conoscenza. Tale minoranza percepisce la carenza di comunicazione come un ostacolo alla propria crescita professionale. Questi giovani “sembrano altresì consapevoli che le modalità comunicative inerenti ai fatti di gestione sono uno strumento forgiatore della cultura aziendale, che alimenta la fiducia degli stakeholder, preserva la coesione tra gli shareholder, garantisce il corretto funzionamento degli organi di governo” (Zocchi, 2007, p. 345).

I familiari sono invece soliti preferire modalità di comunicazione alquanto “informali”. Tale prassi è favorita dalla frequentazione parentale, dalla possibilità di utilizzare momenti della giornata non occupati dall’operatività.

Successione generazionale

Un processo di transizione connesso con il passaggio generazionale può avvenire in condizioni di presenza o d’assenza di eredi (successori). Quest’ultima fattispecie può essere effettiva (tale è l’assenza vera e propria di eredi) o derivata (fattispecie in cui gli eredi, pur esistendo, non vengono però ritenuti idonei dal fondatore alla successione al governo dell’impresa).

Nel caso di esistenza di una molteplicità di eredi occorre prevedere e pianificare a dovere anche una sorta di competizione alla successione, condizione che quasi inevitabilmente determina un incremento della conflittualità nelle relazioni familiari. Anche in questo caso è rinvenibile, infatti, un conflitto di interessi che può trasformarsi in conflitti relazionali, prima latenti e poi manifesti.

Non sporadiche sono le situazioni in cui tali tensioni giungono sino a determinare la cessione o, in alcuni casi, addirittura la “morte” dell’impresa. Nel caso di presenza di eredi non “idonei” al governo aziendale, la sopravvivenza della stessa può essere quantomeno in parte garantita attraverso l’introduzione di manager esterni. Il processo di passaggio generazionale corre il rischio, dunque, di tramutarsi in valvola di sfogo per conflitti latenti precedentemente tenuti sotto controllo.

Dispersione generazionale

L’assunto sotteso alla legittimazione di questa dimensione come fonte di potenziale conflitto relazionale è che sussista una relazione diretta fra conflittualità, numero di generazioni che si sono succedute in azienda e il numero di membri della famiglia impiegati nell’impresa.

L’ipotesi alla base di tale assunto, supportata da numerose ricerche teoriche ed empiriche (ad es. Gersick et al. 1997; Schulze et al. 2003), è che con l’ingresso progressivo di nuove generazione in azienda e la conseguente dispersione della proprietà, modifichino le dinamiche tra i membri della famiglia, acquistando maggiore complessità.

Quando la proprietà è dispersa tra i membri della famiglia (a causa per esempio dei processi di transizione generazionale), è probabile che la differenziazione avvenga tra i membri familiari che sono coinvolti nel management dell’impresa e coloro che non lo sono. Ciò dà luogo ad un classico problema di agenzia: i valori, gli obiettivi e le visioni delle due categorie di proprietari possono essere disallineati o conflittuali.

Sebbene tale allineamento possa essere corretto attraverso specifici strumenti di governance (per esempio i consigli di famiglia) si può sostenere che l’impresa familiare con una proprietà dispersa soffre di un maggiore rischio di conflittualità e conseguente impasse decisionale delle imprese familiari con una proprietà concentrata. Schulze et al. (2003) mostrano empiricamente che la proprietà dispersa ha un impatto su importanti fattori strategici.

In generale, in caso di compresenza di più eredi può determinarsi il c.d. fenomeno di “deriva generazionale” che implica un raffreddamento delle relazioni intra-familiari e l’affievolirsi dei legami affettivi oltre all’identificazione con l’impresa di famiglia. In questi casi aumentano gli oneri di successione legati alle potenziali liquidazioni dei soci dissenzienti e le tensioni saranno tanto maggiori quanto maggiore è la quota di patrimonio della famiglia investita nell’impresa.

La rischiosità del fenomeno in esame è legata non tanto alla distribuzione dei surplus tra un numero più elevato di soggetti aventi diritto, quanto alla presenza, nel capitale aziendale, di quote partecipative sempre meno rilevanti, facenti capo a soggetti che potrebbero manifestare interessi completamente divergenti e, dunque in potenziale conflitto, e per i quali si rendono necessari dei meccanismi di controllo.

I soci familiari non coinvolti in attività imprenditoriali o manageriali (e che, di conseguenza, non ottengono alcuna remunerazione), ad esempio, manifestano tipicamente l’aspettativa di periodiche remunerazioni finanziarie del capitale, mentre i soci coinvolti nell’attività di governo economico tendono a privilegiare una limitata politica di distribuzione dei dividendi per consentire l’autofinanziamento. Interessi divergenti tra i soci, fonti di potenziale conflitto relazionale, si delineano anche quando un socio di minoranza detiene una quota che rappresenta una componente sostanziale del proprio patrimonio personale. Si trova così coinvolto in un’attività a rischio fuori dal proprio diretto controllo. Le grandi FF sembrano, in linea generale, le più problematiche, sotto questo aspetto. Sul versante strategico paiono impegnate a risolvere l’importante problema del rinnovamento della formula imprenditoriale passando da portafogli focalizzati a portafogli diversificati o viceversa. Sul lato valoriale tali imprese sono impegnate nel trasferire la cultura familiare in presenza di una realtà spesso multifamiliare o di famiglia allargata con potenziali conflitti tra parenti (Devecchi, 2007)

Conclusioni

Secondo l’approccio multidimensionale conosciuto in letteratura con l’acronimo SEW, nelle aziende familiari l’interazione tra “dimensioni economiche” e “dimensioni affettive” crea un set unico di caratteristiche e condizioni che impattano sui processi decisionali (strategici e organizzativi) e sulle dinamiche comportamentali e relazionali interne alle FF, influenzandone la stessa sopravvivenza nel tempo (Matherne et al., 2017). In questo contributo si è sviluppata un’analisi e una mappatura originale delle condizioni situazionali ed organizzative che tipicamente determinano lo sviluppo di diverse forme di conflitto nelle aziende familiari, con particolare riferimento al cosiddetto “relationship conflict”, una manifestazione conflittuale tipicamente considerata disfunzionale per l’efficacia dell’azione organizzativa. In particolare, si è sviluppato e rappresentato uno schema interpretativo che fa riferimento ad otto aree o dimensioni, potenzialmente determinanti tale fattispecie conflittuale: (1) giustizia distributiva; (2) conflitti di ruolo; (3) conflitto famiglia/lavoro (spillover theory); (4) conflitti di identità (di genere, rivalità tra fratelli, conflitto intergenerazionale, ecc.); (5) fautlines (divisioni/tensioni tra membri della famiglie e dipendenti/manager esterni alla famiglia); (6) livello e “qualità” della circolazione delle informazioni e della comunicazione; (7) capacità di governo del processo di successione; e (8) caratteristiche e livello di dispersione generazionale.

La costruzione di un modello interpretativo delle determinanti del conflitto relazionale si configura come un possibile strumento per l’assessment organizzativo finalizzato all’analisi di processi prodromici rispetto a manifestazioni conflittuali patologiche e degenerative per le aziende familiari.

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[1] Per faultlines si intende le suddivisioni tra sottogruppi organizzativi, derivanti dal concomitante manifestarsi di due o più attributi.

 

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Università della Campania Luigi Vanvitelli

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