Politiche e Pratiche Motivazionali: Quali Differenze tra Pubblico e Privato?

Il contributo affronta il tema della motivazione del personale nelle organizzazioni pubbliche, focalizzandosi sull’approccio della Public Service Motivation. Questo filone di studi rileva l’efficacia di alcune politiche e pratiche motivazionali rispetto alla loro capacità di impattare sulla motivazione intrinseca dei dipendenti pubblici. In particolare, gli interventi di change management orientati ai processi, le relazioni di feedback tra “beneficiari” dei servizi pubblici e dipendenti, l’introduzione di sistemi di valutazione basati su obiettivi individuali e organizzativi chiari e specifici, un’organizzazione del lavoro tesa a de-burocratizzare le attività e valorizzare la significatività dei compiti, sono individuate come leve fondamentali per lo sviluppo della motivazione nel pubblico impiego. 

Introduzione

Lo studio delle teorie motivazionali ha una rilevanza, per certi aspetti, accostabile alla ricerca del “Santo Graal” da parte del management, ossia come l’elemento capace di “sbloccare” lo sviluppo del circolo virtuoso produttività-soddisfazione. Le più importanti questioni che sono state tipicamente affrontate negli studi organizzativi sul tema sono sintetizzabili come segue: §  Cosa motiva una persona? La risposta a questo interrogativo va cercata “dentro” il soggetto, nei bisogni di denaro, status sociale o potere che lo spingono ad agire? Oppure nell’alveo delle dinamiche organizzative e relazionali?§  Dove è opportuno orientare lo sguardo nell’analisi della motivazione al lavoro? Verso le caratteristiche del lavoro svolto e/o verso le modalità di gestione dei lavoratori?§  Esiste una “verità universale” da scoprire oppure la motivazione è un fattore contingente, strettamente dipendente dalle caratteristiche del soggetto e del contesto di riferimento?§  Le spinte alla motivazione sono le medesime nel pubblico e nel privato? Nelle SMEs e nelle grandi multinazionali?§  Come cambia la motivazione nel tempo? I fattori che incidono sulla motivazione coincidono con quelli che creano demotivazione?§  Un manager può motivare i propri collaboratori, oppure la motivazione è sempre un problema individuale, che cioè solo il singolo individuo è in grado di affrontare e di risolvere?§  Quali sono le condizioni che rendono possibile lo sviluppo di auto-motivazione? La teoria della Public Service Motivation (PSM) affronta la questione dell’efficacia delle politiche e delle pratiche di sviluppo della motivazione nelle organizzazioni da un punto di vista originale, ponendosi nell’ambito di un approccio contingente e individuando come variabile di riferimento – cui le politiche organizzative devono adattarsi – l’ambito (Pubblico vs Privato) in cui l’organizzazione opera. In particolare, il concetto di PSM, diffuso nella letteratura manageriale a partire dall’inizio degli anni ’90, si fonda sull’idea che i motivi che spingono le persone ad agire, impegnarsi, orientare le scelte, gli sforzi e i comportamenti organizzativi siano differenti a seconda del settore in cui tali soggetti si trovano ad operare, differenziando tra settore pubblico e settore privato. Il concetto di PSM, come sarà meglio esplicitato più avanti, è definibile come la predisposizione individuale a rispondere a scopi e motivazioni presenti principalmente nelle organizzazioni pubbliche (Perry e Wise, 1990).  Questa teoria ha rilevanti implicazioni pratiche, in quanto, stressando la relazione tra processi motivazionali e “orientamento all’interesse pubblico”, fornisce una pluralità di indicazioni relative alle politiche e agli strumenti da adottare per sviluppare la motivazione dei dipendenti pubblici. Si tratta di una questione, come noto, di grande rilievo, dibattuta non solo in ambito accademico e tra i praticioners, ma anche oggetto di analisi e di discussione nell’arena politica, sui media, nei social network, ecc. Come accennato, l’ipotesi di base di questo approccio è che il desiderio di aiutare gli altri e realizzare il bene comune sono leve motivazionali più forti nel settore pubblico rispetto al settore privato. Detto in altri termini, i fattori che muovono l’interesse personale e costituiscono il motore dell’agire organizzativo nel pubblico sono più orientati alla motivazione intrinseca; mentre i dipendenti privati sono più motivati da fattori estrinseci. In altri termini, nel pubblico costituirebbe un fattore motivazionale essenziale la soddisfazione insita nello svolgere attività che hanno un interesse collettivo e un valore sociale. La capacità da parte di una organizzazione pubblica di incidere – ad esempio – sulla qualità della vita dei cittadini e di restituire correlati feedback positivi ai suoi dipendenti, può costituire un elemento importante dal punto di vista delle spinte motivazionale del personale. Diversamente, sempre secondo tale approccio, l’introduzione di incentivi monetari nell’ambito, ad esempio, di un sistema di perfomance management, avrebbe un impatto meno significativo nel pubblico rispetto al privato, dove invece è più forte la componente motivazionale estrinseca. Sembra chiaro, anche solo da questi brevi cenni, che le implicazioni manageriali della teoria della PSM possono essere molto importanti sia dal punto di vista del management pubblico sia dal punto di vista del policy maker. Negli ultimi anni, questo approccio teorico è stato gradualmente supportato da alcune analisi empiriche (vedi ad esempio, Alonso e Lewis, 2001). Nel presente lavoro, dopo aver sinteticamente chiarito i fondamenti della PMS che emergono da alcuni rilevanti contributi della letteratura organizzativa, ci focalizzeremo sulla relazione tra PSM e performance e sulle principali implicazioni manageriali collegate a questo filone di studi. Questo contributo si basa, in particolare, su una recente review della letteratura sul tema sviluppata da Ritz e colleghi (2016) sulla rivista Public Administration Review.

Comprendere il concetto di Public Service Motivation

Seppure il concetto di PSM è di recente sviluppo, numerosi sono gli studi e le ricerche di natura teorica ed empirica che hanno adottato questo framework teorico. Di seguito sono riportate alcune tra le principali definizioni che sono state associate al concetto di PSM.

Perry e Wise (1990) sono stati probabilmente i primi a formulare una definizione di PSM, concettalizzandola come “an individual’s predisposition to respond to motives grounded primarily or uniquely in public institutions and organizations” (1990, 368). In altri termini, il concetto fa riferimento al desiderio di agire in vista delle conseguenze future di azioni che creano benefici per gli altri. Brewer e Selden hanno riformulato il concetto come “the motivational force that induces individuals to perform meaningful … in public, community, and social service” (1998, 417). Sulla stessa linea, Rainey e Steinbauer hanno fatto riferimento alla PSM come “general, altruistic motivation to serve the interests of a community of people, a state, a nation or humankind” (1999, 20). Infine, una definizione più recente di PMS è suggerita da Vandenabeele nei termini che seguono: “belief, values and attitudes that go beyond self-interest and organizational interest, that concern the interest of a larger political entity” (2007, 547).

Perry, in particolare, individua quattro dimensioni che determinano la PSM:1.     Attraction to policy-making (attrazione per il policy‐making). Questa dimensione, fondata su motivi razionali, si basa sul desiderio di soddisfare i propri bisogni personali mentre si sta servendo anche la comunità. Le persone con una più significativa “attraction to policy-making” sono tipicamente tese alla ricerca di accordi negoziali, del tipo dare/avere, nel processo di definizione delle politiche pubbliche e rispettano e sostengono coloro che sono in grado di trasformare una buona idea in legge.2.     Commitment to the public interest (dedizione per l’interesse pubblico). Tale dimensione rappresenta il desiderio altruistico di servire gli interessi pubblici, anche quando vissuto come un “obbligo sociale”. Le persone con elevato commitment pubblico considerano la loro professione come un dovere ad alto valore civico.3.     Compassion (compassione). Questa dimensione include l’amore per gli altri e il desiderio di farli sentire protetti, nonché il dovere di tutelare tutti quei diritti basilari garantiti dalla legge. 4.     Selfsacrifice (spirito di sacrificio).  Si tratta di una dimensione indipendente ed autonoma, trattandosi quasi di una conseguenza della PSM: è la propensione ad erogare dei servizi per le altre persone, rinunciando a premi personali tangibili. Quando ci si mette in gioco per la comunità, per soddisfare i bisogni sociali, necessariamente gli interessi privati vengono meno, o comunque sono messi in secondo ordine rispetto all’interesse pubblico che si intende perseguire.  Secondo Perry e Wise, maggiore è il livello di PSM individuale, maggiore è la probabilità che l’individuo ricerchi un impiego nel settore pubblico. Inoltre, per i due studiosi, nelle organizzazioni pubbliche la PSM è positivamente legata ai risultati individuali. I servizi pubblici hanno di per sé una connotazione pro-sociale caratterizzata, tra l’altro, da aspetti come alta significatività del compito e centralità di valori quali la compassione, l’auto-sacrificio e l’impegno per l’interesse pubblico. In questo senso, nelle organizzazioni pubbliche, il personale con elevati livelli di PSM sarebbe meno stimolato da incentivi monetari nell’incremento quali-quantitativo del proprio lavoro. In più, gli incentivi monetari, provocherebbero, una sorta di effetto spiazzamento proprio sulla componente valoriale ed emozionale di tali dipendenti. Va messo in rilievo, che per ricompense intrinseche si intende quelle che derivano dalla soddisfazione che un individuo riceve dall’eseguire un compito (ad es. senso di realizzazione, sensazione di autostima, ecc.). Viceversa, gli incentivi estrinseci sono quelli “offerti” da qualcun altro o dall’evoluzione di una variabile endogena (ad esempio, aumento di stipendio, promozioni, status, prestigio, ecc.). Rainey, già nel 1982, rilevava che i dirigenti pubblici e i manager privati erano caratterizzati da differenze significative nella percezione dell’importanza di utilizzo di diversi tipi di ricompense. A differenza dei manager privati, i dirigenti pubblici considerano come determinante l’utilità sociale, considerando meno rilevanti la retribuzione, lo status o il prestigio (Houston 2000). Più recentemente, anche Weibel et al. (2010) hanno sottolineato che la retribuzione accessoria legata ai risultati aumenta la motivazione estrinseca (producendo una sorta di effetto prezzo) e deprime la motivazione intrinseca (effetto spiazzamento). In sostanza, gli incentivi monetari potrebbero essere meno efficaci nel pubblico rispetto al privato. Langbein (2009), in uno studio sui dipendenti del governo federale americano, concludeva che la passione per il proprio lavoro è più importante dei premi monetari per trattenere le persone chiave nelle organizzazioni pubbliche.

L’approccio della PSM suggerisce, inoltre, che i dipendenti pubblici hanno più probabilità di avere atteggiamenti di cittadinanza organizzativa rispetto ai privati, sono più favorevoli ai valori democratici e possiedono un più alto senso di dovere civico. Brewer (2009), in particolare, ha rilevato che i dipendenti pubblici ottengono punteggi più elevati nei parametri attitudinali legati alla fiducia sociale, all’altruismo, all’uguaglianza, alla tolleranza e all’umanitarismo. Sulla base di questi risultati, Brewer conclude che i funzionari pubblici ‘‘are motivated by a strong desire to perform public, community, and social service’’ (2003, 20). Brewer e Selden (1998), infine, suggeriscono che i dipendenti pubblici federali statunitensi che denunciano le condotte illecite o pericoli di cui sono venuti a conoscenza all’interno dell’organizzazione (whistleblower) sono spinti da elevati valori di moralità ed altruismo e motivati dalla preoccupazione per il bene comune.

PSM e performance

La ricerca sulla PSM, fin dalla sua nascita, ha incorporato l’ipotesi (spesso non dichiarata) che la PSM potrebbe avere un effetto positivo sulle performance. Negli ultimi due decenni, l’effetto della PSM sia sul lavoro che sulle performance organizzative sono diventati argomenti di grande interesse negli studi sulla pubblica amministrazione. Tuttavia, nonostante una crescente parte della letteratura suggerisca che la PSM può aumentare le performance, tale causalità non è univocamente dimostrata.

Naff e Crum (1999) hanno individuato una correlazione positiva tra PSM e valutazione delle prestazioni individuali. Uno studio più recente di Andersen e Serritzlew (2009) indaga il legame tra impegno per l’interesse pubblico e comportamenti organizzativi in un campione di 556 fisioterapisti danesi. I fisioterapisti che si autodefinivano caratterizzati da “un maggiore impegno per l’interesse pubblico”, tendevano ad avere una più alta percentuale di pazienti disabili. La percentuale di pazienti disabili era interpretata dagli autori come un elemento che misura le performance individuali – in termini di “contributo sociale” – perché i pazienti disabili sono più bisognosi ma “meno redditizi”: i loro trattamenti richiedono, infatti, molto tempo rispetto ai pazienti ordinari. Kim (2005), in una analisi condotta sui dipendenti pubblici coreani appartenenti a tutti i livelli di governo, identifica la soddisfazione lavorativa, la cittadinanza organizzativa, il commitment organizzativo di tipo affettivo e la PSM come i fattori in grado di predire livelli (alti) di performance organizzativa.

Diversamente, Camilleri in uno studio del 2009 riscontra un impatto piuttosto ridotto della PSM sulla performance. Bellé, in un più recente contributo, ha analizzato un campione di 90 infermieri invitati ad assemblare kit chirurgici come parte di un progetto di cooperazione internazionale. L’autore individua nel contatto coi beneficiari e negli interventi di auto-persuasione i due fattori che possono stimolare la job performance nei lavoratori del settore pubblico. In sostanza, lo studioso dimostra che incontrare i beneficiari dei loro sforzi aumenta la persistenza, il risultato, la produttività e la vigilanza degli infermieri. La motivazione pro sociale, in questa ottica, non è considerata, dunque, un tratto stabile dell’individuo; diversamente, il livello di motivazione tra i lavoratori può essere influenzato anche attraverso processi organizzativi.

Una seconda tipologia di studi ha studiato la relazione tra il PSM e le prestazioni lavorative mediata da altre variabili. Attraverso un campione di 205 assistenti sanitari, osservati casualmente da tre organizzazioni pubbliche in tre stati americani, Bright (2007) ha trovato un’associazione positiva tra PSM e auto-valutazione delle performance. Infine, uno studio di Vandenabeele (2007) sul servizio civile in Belgio ha rilevato una relazione diretta tra PSM e performance individuale (auto-valutata) e un rapporto indiretto, mediato dalla soddisfazione sul lavoro e dal commitment normativo e affettivo. Le principali implicazioni manageriali Quello che emerge dall’analisi della letteratura sul PSM è l’idea che l’utilizzo di modelli e strumenti motivazionali non contestualizzati rispetto alle caratteristiche del settore e dell’organizzazione di riferimento, ma fondati sulla “moda” manageriale prevalente, sono in grado di impattare poco o nulla sulle performance, specialmente in ambito pubblico. La teoria dei processi di Perry (2000) e Perry e Wise (1990) aveva già messo in rilievo che i comportamenti organizzativi non sono solo frutto di razionalità: studiare la motivazione con un focus solo di tipo razionale offre una prospettiva molto parziale: è necessario, invece, comprendere anche i processi sociali, le componenti emozionali e valoriali del contesto sociale, organizzativo e delle singole persone. Le convinzioni dei dipendenti pubblici riguardo al servizio pubblico sono poi almeno in parte influenzate dalla natura e dalle caratteristiche delle organizzazioni di cui fanno parte. Perry (2000) sostiene che la PSM dipende anche dall’evoluzione dei processi di socializzazione nelle istituzioni sociali, dalle relazioni parentali, le scelte religiose, e i modelli di apprendimento adottati. In questa prospettiva, la PSM dei dipendenti pubblici è concettualizzata come il risultato non solo del background storico-sociale delle persone, ma anche dell’ambiente organizzativo in cui i dipendenti lavorano. Perry e Wise già all’inizio degli anni ’90 avevano individuato nella relazione tra dipendenti pubblici e destinatari dei servizi pubblici la chiave di volta per sviluppare la PSM. L’opportunità di comunicare con i fruitori dei servizi erogati e la consapevolezza dell’efficacia di tali servizi, si configurano come elementi importanti nello sviluppo della motivazione intrinseca dei dipendenti, motivazione legata alla soddisfazione insita nello svolgere attività che hanno un interesse collettivo e un valore sociale.

Più recentemente, Perry e Hondeghem (2008) identificano cinque livelli ai quali un’organizzazione pubblica dovrebbe intervenire per indirizzare il comportamento dei dipendenti, migliorandone potenzialmente le prestazioni. Di seguito, per ciascun livello, sono indicate a titolo esemplificativo, le pratiche che possono essere sviluppate per sostenere il rapporto virtuoso tra PSM e performance:

  • Livello individuale: buone pratiche sono individuate nella selezione del personale anche sulla base della PSM. In questo senso Wright e Grant, 2010, individuano nella coscienziosità, uno dei cinque fattori della personalità della nota teoria dei Big Five, un fattore predittivo della correlazione tra PSM e performance. Inoltre, l’individuazione di sistemi di valutazione che includano l’osservazione di comportamenti che riflettano la PSM, si configura come un altro importante fattore in grado di influenzare l’impegno dei dipendenti pubblici;
  • Organizzazione del lavoro: veicolare la significatività sociale del lavoro; stabilire obiettivi chiari e allineati con la PSM esistente sono considerate best practices in riferimento a questo “livello”;
  • Ambiente di lavoro. Le pratiche citate dagli studiosi sono le seguenti: creare un sistema di lavoro che incoraggi l’auto-regolazione; incoraggiare interazioni cooperative sul posto di lavoro; creare incentivi in grado di allineare la missione organizzativa e la PSM dei dipendenti; definire sistemi di ricompensa che enfatizzino l’attrattività di lungo periodo e non spiazzino la motivazione intrinseca;
  • Livello organizzativo: articolare la visione organizzativa e le azioni in modo che riflettano il commitment alla PSM; promuovere una leadership valoriale;
  • Livello sociale: collaborare con le istituzioni della società per incorporare i valori del pubblico impiego nei programmi formativi; sostenere esperienze pre-lavorative all’interno del settore pubblico.

In linea di sintesi, la PMS sembra suggerire che in ambito pubblico, al fine di impattare sull’impegno e le prestazioni dei dipendenti, è necessario che i policy maker e i dirigenti orientino le scelte di regolazione e progettazione organizzativa e di HRM secondo una logica tesa ad incentivare la consapevolezza del benessere sociale prodotto attraverso l’azione organizzativa. La costruzione di un modello di organizzazione del lavoro teso a valorizzare la percezione dell’identità e soprattutto delle significatività delle mansioni, la ricerca di modelli organizzativi (sia a livello micro e sia a livello macro) orientati ai processi, agli outcome e alla soddisfazione del cliente finale (interno ed esterno che sia), la costruzione di un sistema di obiettivi smart strettamente collegati all’efficacia degli output, interventi di change management volti e de-burocratizzare il lavoro e snellire il numero di livelli gerarchici, l’esistenza di feedback tra “beneficiari” dei servizi pubblici e dipendenti, sono tutte pratiche che possono impattare sulla motivazione intrinseca collegata alla PSM, incidendo sulla performance organizzativa.

Bibliografia

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