Introduzione
La “vera” transizione verso il lavoro ibrido è stata innescata, in gran parte, dalle necessità imposte dalla pandemia. Questo evento ha infatti catapultato le organizzazioni in una nuova era, in cui l’approccio flessibile al luogo dove il lavoro può essere svolto è diventato la norma e il lavoro ibrido, nella fase di assestamento del dopo pandemia, si afferma come catalizzatore di trasformazioni radicali nelle pratiche organizzative. Complice l’evoluzione del contesto (in primis quello tecnologico) il cui ruolo abilitante è tutt’altro che neutro, questa modalità di erogazione della prestazione lavorativa si connota per una trasformazione profonda nella cultura non solo dei lavoratori – dei quali ha influenzato le abitudini e ridefinito le priorità, mettendo in luce un cambiamento a livello globale nelle preferenze di gestione del tempo lavorativo e di miglior bilanciamento vita-lavoro – ma anche delle organizzazioni, attraverso un ripensamento dei fondamenti alla base dell’organizzazione del lavoro e, più in generale, una rivisitazione dei processi organizzativi, tutti aspetti dal forte impatto sia sulla gestione delle persone, ma anche degli spazi e dei confini. Se il lavoro sta via via perdendo la connotazione spaziale del “luogo” (si è passati dal tele-lavoro al lavoro da remoto, al lavoro ibrido che si propone ora come la nuova “etichetta” per identificare ciò che sta accadendo) e si avvia a ridimensionare gradualmente anche quella consolidata di “tempo” (già sono in atto diverse sperimentazioni a livello nazionale ed internazionale per ridefinire il numero di ore lavorate alla settimana e la loro distribuzione temporale), con l’avvento delle nuove modalità di lavoro ciò che è messo in discussione è proprio il confine dell’organizzazione. Nel momento in cui le forme di lavoro diventano massimamente flessibili, accade che sia difficile per le organizzazioni comprendere cosa è collocato all’interno (e necessità quindi di un certo tipo di gestione) e cosa, al contrario, fa parte del mondo esterno (rimandando ad altre modalità di coordinamento). Ecco, quindi, che il “controllo sulle persone” perde di significato così come lo perdono gli spazi di lavoro (e con essi le strumentazioni informatiche e tecnologiche) che sono difficilmente specificabili come “dotazioni” dell’azienda. Se le persone lavorano da remoto, l’organizzazione dovrà occuparsi di fornire loro una scrivania? Un pc o un tablet? Oppure, come è proprio dei contratti di agenzia, “i mezzi” di lavoro saranno a carico del lavoratore? E quali lavoratori hanno diritto al buono pasto? E come si declinano le questioni di sicurezza sul lavoro? E quando il lavoro diventa classificabile nella tipologia dello “straordinario? O, ancora, per aggiungere altre questioni, non meno rilevanti, come si motiva un lavoratore che “frequenta” poco la sua organizzazione? Quali nuove criticità si presentano? Questi e molti altri interrogativi diventano le sfide delle organizzazioni moderne in un contesto che cambia a velocità variabile – ma sempre in accelerazione – e che impone al management e ai decisori aziendali continui sforzi non solo per cogliere e adeguarsi, ma per anticipare le tendenze future.
Lo Special Issue propone un’analisi delle dinamiche organizzative, enfatizzando gli aspetti manageriali correlati al lavoro ibrido e alle organizzazioni del futuro in cui questo modalità organizzativa occuperà un ruolo preponderate. Gli articoli inclusi offrono un contributo significativo all’approfondimento del tema dal punto di vista teorico ma, parallelamente, mirano a tradurre tali conoscenze in applicazioni pratiche per i dirigenti e i leader organizzativi attraverso la narrazione di casi ed esperienze studiati dai contributori. La prospettiva socio-tecnica pervade molti dei lavori presenti nello Special Issue: si tratta di un approccio che, dalla sua nascita, ci ricorda come il fattore umano non sia una risorsa che si deve adattare alla tecnologia, che in quanto tale non impone alcun modello organizzativo, ma che ogni sistema è definito da due ordini di variabili, quelle tecniche e quelle sociali, da conciliare per conseguire, congiuntamente, efficacia ed efficienza. E lo fa con una postura che si adatta a contesti, settori e problemi diversi. In questo risiede la sua attualità e la sua capacità di supportare la comprensione del cambiamento nel lavoro e dell’adattamento che questo comporta.
La necessità di definire il concetto di lavoro ibrido muove il contributo di Klasser e Cuel. Il lavoro ibrido, affermano gli autori, è una prospettiva proattiva attraverso la quale le organizzazioni gestiscono le nuove forme del lavoro, tenendo in considerazioni più dimensioni, che supera tutte le definizioni di lavoro da remoto, flessibile, agile, o smart. In tal senso, la dimensione organizzativa che ingloba non solo quella spaziale, ma anche quella temporale, amministrativo/legale e gestionale, diventa il vero driver per gli HR manager contemporanei. La necessità di personalizzare la gestione del lavoro ibrido in considerazione delle caratteristiche dell’organizzazione costituisce una sfida ma, al contempo, un’opportunità significativa per manager e professionisti. La capacità di gestire in modo efficace gli aspetti più legati al lavoratore, al suo benessere, alla comunicazione, alla valutazione e alla formazione diventa condizione decisiva per la competitività e l’attrattività delle organizzazioni. Che l’affermazione del lavoro ibrido necessiti di una attenta strategia di cambiamento culturale e organizzativo – che però passa attraverso la sperimentazione di soluzioni di continuo bricolage socio-organizzativo – è confermato dal contributo di Nunziata. Inoltre, l’autore focalizza l’attenzione su quanto sia importante accompagnare la diffusione delle pratiche di lavoro ibride con politiche, iniziative e modalità strutturate di comunicazione interna e organizzativa che si soffermino sulla dimensione socio-tecnica. Commentando l’articolo di Wontorczyk e Roznowski, che hanno studiato lo stress e l’engagement dei lavoratori nelle tre modalità lavorative ibride, da remoto ed in presenza durante la pandemia, il contributo della Mormile sottolinea che è responsabilità delle organizzazioni adottare un approccio flessibile e personalizzato per massimizzare il benessere e l’impegno dei propri dipendenti, tenendo conto delle esigenze sia individuali che aziendali. Nelle organizzazioni che diventano ibride, sempre maggiore importanza ricoprono i team, che lavorano – soprattutto in seguito alla riorganizzazione del lavoro in modalità da remoto – interagendo tra loro quasi esclusivamente grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici online come e-mail, applicazioni di messaggistica istantanea e videoconferenze e, nel migliore dei casi, incontrandosi nella loro piena composizione solo in poche occasioni. Diversi studi hanno dimostrato che nei team virtuali le interazioni tra i membri e, di conseguenza, le modalità lavorative, differiscono molto rispetto a quello che accade nei team tradizionali e hanno segnalato che, tra i fattori che possono influenzare il lavoro da remoto, la coesione è elemento essenziale. L’importanza di questo fattore è evidenziata anche dallo studio condotto da Pescatore, che suggerisce come la coesione nei team virtuali sia una variabile dinamica e multifattoriale, soggetta ad evolversi nel tempo, in particolare decresce all’aumentare degli anni di servizio svolto (seniority). Poiché la coesione potrebbe essere associata a diversi fattori quali il clima organizzativo o a fattori individuali o di contesto organizzativo, assume un’importanza fondamentale l’azione del management nel modificare i processi di gestione dei team che la influenzano. Lungo questa traiettoria si colloca il lavoro di Garlatti-Costa e Bortoluzzi. Gli autori presentano uno studio che mira ad analizzare cosa accade quando il processo creativo nei team non avviene più all’interno dell’organizzazione, bensì all’esterno o alternando momenti in presenza ed in remoto. Gli autori propongono una tassonomia basata sull’utilizzo di due dimensioni di organizzazione del lavoro ibrido – che vede ad un estremo il lavoro tradizionale e all’altro il lavoro totalmente da remoto – dalla quale si possono cogliere alcune interessanti indicazioni manageriali per l’identificazione di pratiche di supporto alla creatività. Se i fattori sociali occupano un posto di primo piano, gli aspetti legati alla tecnologia ed al suo utilizzo hanno spazio nello Special Issue. Il contributo di Neri-Dini evidenzia le criticità connesse all’utilizzo della strumentazione tecnologica necessaria per lavorare in luoghi diversi dalle postazioni aziendali. Tra queste emergono problemi di cybersecurity in quanto l’impiego degli strumenti informatici diffuso e lontano dalla sorveglianza del responsabile dell’organizzazione può generare attacchi informatici al patrimonio informativo aziendale. In quest’ottica, l’utilizzo del computer personale (Bring Your Own Device – BYOD) sfrutta la vulnerabilità connessa alla dimensione individuale del lavoratore che mette però a rischio tutta l’organizzazione. Diventa, quinidi, quanto mai necessario sviluppare un approccio integrato di cyber organizational culture, incidendo sia sulla cyber awareness anche attraverso la formazione, sia modificando la struttura organizzativa e inserendo ruoli specifici (Chief Information Security Officer – CISO).
Poiché anche il settore pubblico è stato ed è sempre più coinvolto dal cambiamento nel modo di lavorare, l’attenzione di alcuni degli autori che hanno contribuito a questo lavoro si è rivolta specificatamente a questo tipo di organizzazioni. Il contributo di Modarelli e colleghi mira ad evidenziare le potenzialità dello smart-working nel settore pubblico, in vista del suo consolidamento dopo l’emergenza pandemica. La riflessione si concentra su come l’accettazione delle tecnologie in un ambiente lavorativo basato sul lavoro ibrido possa supportare il cambiamento delle abitudini e la diffusione e continuità nel tempo da parte dei lavoratori. Gli autori indagano l’evoluzione della percezione dell’uso delle tecnologie sul posto di lavoro dal periodo pre-pandemico a quello post-pandemico e come la motivazione e le abitudini lavorative nonché l’utilità percepita della tecnologia ne faciliti l’utilizzo e sia strettamente connessa al miglioramento dell’efficienza lavorativa. Ciabattoni, Veglianti e Ricciardi propongono una lettura positiva del lavoro a distanza in quanto soluzione efficace per abbattere il turnover. Nell’accezione proposta, le autrici affermano che il lavoro a distanza se ben organizzato e gestito – e quindi in grado di consentire una maggiore flessibilità nel lavoro e un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata – può mitigare il fenomeno del turnover, soprattutto se questo è motivato dalle difficoltà connesse alla distanza dal luogo di lavoro. Il caso che approfondiscono è nell’ambito del settore pubblico, che già di per sé rappresenta un contesto di primaria importanza, ma offre interessanti spunti anche per il mondo privato. Tra le diverse problematiche ancora più sentite nel settore pubblico rispetto alle organizzazioni private c’è di certo la questione della motivazione. Il contributo di Adinolfi e colleghi esplora, attraverso un’indagine empirica che utilizza interviste semi-strutturate ai dipendenti pubblici, la relazione tra lavoro ibrido e Public Service Motivation (PSM). In particolare, lo studio analizza le potenzialità che il lavoro ibrido può esprimere in favore della PSM ovvero la propensione dell’individuo nel perseguire obiettivi e motivazioni che si riscontrano, principalmente, nelle organizzazioni pubbliche, evidenziando come il potenziale positivo derivante dal lavoro ibrido necessiti di adeguato supporto organizzativo per tradursi in reali benefici strutturali. Un’altra delle traiettorie evolutive che segnano il cambiamento in atto nei modi di lavorare trova negli spazi collaborativi la sua migliore declinazione. Il lavoro di Scapolan e colleghi si sofferma sulle funzioni che questi spazi svolgono e sul ruolo che giocano nei processi di formazione e sviluppo del capitale umano, laddove i nuovi modi di lavorare a natura ibrida, imperniati sugli strumenti tecnologici, si intersecano con dinamiche sociali e relazionali sempre più fondamentali nei percorsi professionali dentro e fuori i confini organizzativi. Il dibattito sulle diverse dimensioni del lavoro ibrido è tutt’altro che definito: assistiamo quotidianamente all’emergere di diverse problematiche e implicazioni manageriali che questa nuova modalità organizzativa fa emergere sia nell’ambito legato alla tecnologia (si pensi alle organizzazioni meno innovative o con personale di età più avanzata – quali le Pubbliche Amministrazioni- in cui la competenza informatica costituisce ancora un problema di efficacia lavorativa, o alle zone geografiche non coperte appieno dalla rete) ma anche nella dimensione sociale, legata alle capacità di gestione manageriale e di leadership che sono necessarie per gestire i lavoratori ibridi, i quali richiedono, il più delle volte, una rivoluzione delle pratiche accreditate, o ancora alla necessità di riprogettare processi organizzativi e metriche di valutazione dei risultati che devono basarsi su nuovi KPIs e che necessitano lo stravolgimento di sistemi consolidati. Ciò ci conferma le innumerevoli diversità di applicazione del lavoro ibrido, che non può adattarsi a tutti i tipi di lavoro – ci sono job necessariamente (ancora?) agganciati alle variabili spazio-temporali; ma neppure a tutti i lavoratori – che, per caratteristiche di personalità, per bisogni di socializzazione e di affiliazione, sono più a loro agio in contesti di prossimità fisica; e men che meno a tutte le imprese a causa delle specificità del business, della cultura o dell’arretratezza tecnologica.
Con la certezza, quindi, di non aver toccato tutti i temi possibili e convinte di lasciare aperte direttrici di discussione interessanti poiché, mai come in questo caso, non c’è nulla di più certo del cambiamento continuo, auguriamo una buona lettura e siamo certe che questo Special Issue riscuoterà interesse, farà sorgere dubbi e contribuirà al dibattito sul tema attualissimo del lavoro ibrido.
Gilda Antonelli e Teresina Torre
Articoli in rivista
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