La sostenibilità nelle aziende cessa di essere meramente ambientale ed allarga i suoi confini ad un modello di business “sostenibile”. È in quest’ottica che la gestione delle risorse umane deve rispondere ai criteri di sostenibilità organizzativa. Dalla letteratura si evince che le donne conferiscono un valore aggiunto alle organizzazioni, pertanto, per le aziende che assumono l’attuazione di politiche gestionali nell’ottica del gender diversity management si conferma un impegno verso la sostenibilità sociale ed organizzativa con un’idea strategia di vantaggio competitivo.
Introduzione
Spesso si fa riferimento alla sostenibilità aziendale come l’impegno ad adottare “green practices in azienda”, che si esprimono in una serie di strumenti e assetti organizzativo/gestionali volti a ridurre l’impatto dell’attività dell’impresa sull’ecosistema e ad implementare una strategia orientata alla sostenibilità ambientale. Seppure questo richiede un sostanziale cambiamento di paradigma che implica anche assunzione di nuovi modelli e nuove logiche organizzative, la sostenibilità cessa di essere immaginata come meramente ambientale ed allarga i suoi confini al modello di business “sostenibile” per l’azienda, diventa una ricerca dell’equilibrio economico, organizzativo, sociale e culturale dell’organizzazione verso un sistema di compliance che rappresenta il principale risultato da raggiungere. Il tema della sostenibilità sociale, ambientale ed economica rappresenta un tema molto dibattuto ad ogni livello istituzionale e in diversi ambiti. È in quest’ottica che la gestione delle risorse umane può e deve essere sostenibile attraverso l’inclusione di donne portatrici di skills che determinano un maggior valore per l’azienda.
Nonostante il dibattito sulla sostenibilità delle organizzazioni sia oggi di particolare rilievo e al centro del dibattito pubblico, è lecito chiedersi se e quanto degli aspetti di organizzazione aziendale e gestione delle risorse umane sono analizzati all’interno dell’ampio dibattito in corso.
La risposta potrebbe essere: il dibattito si concentra principalmente su quella sostenibilità che viene facilmente percepita e che le persone possono obiettivamente vederne le conseguenze quando ad esempio gli uccelli muoiono per una fuoriuscita di petrolio, quando gli orsi polari scheletrici sono arenati su isole di ghiaccio galleggianti, quando i ghiacciai si sciolgono, quando le foreste bruciano, quando si verificano siccità e uragani, gli effetti non sono solo visibili ma percepiti con conseguenze immediati sulla vita delle persone. Tali immagini fanno mobilitare l’opinione pubblica. Al contrario, gli effetti dell’inquinamento sociale sono in gran parte nascosti alla vista e, in molti casi, si dispiegano per lunghi periodi di tempo, ad esempio lo stress sul lavoro produce i suoi effetti sulle organizzazioni gradualmente piuttosto che in modo drammatico (Vohs, Mead, & Goode, 2008). Questo contributo vuole sottolineare come sia possibile costruire un successo economico se le organizzazioni sono anche sostenibili in termini di effetti sulle persone, ed in particolare le condizioni organizzative e le politiche di gestione delle risorse umane sostenibili ed inclusive possono facilitare l’accesso delle donne a posizioni manageriali e con le loro competenze favorire e sviluppare il valore economico e sociale per il futuro aziendale (Bernstein, Young, Brown, Sacco, & Claypool, 2008).
Sostenibilità sociale: gli effetti a volte dannosi delle aziende sulle persone
Le aziende stanno mettendo in campo sforzi importanti sia attraverso la regolamentazione governativa ma anche attraverso una pressione sociale per diminuire gli effetti negativi delle imprese sull’ambiente naturale. Ma anche le organizzazioni e le loro pratiche gestionali hanno effetti profondi sugli esseri umani e sull’ambiente sociale (Svendsen, 1998). Si parla di sostenibilità sociale proprio perché le scelte delle aziende in tema di politiche di gestione delle risorse umane possono avere effetti a volte nocivi sulle persone anche se questi aspetti sono in gran parte ignorati. C’è molta più sensibilità ai costi e ai danni ambientali che le aziende provocano all’aria o all’acqua che sui costi e danni imposti alle persone attraverso pratiche gestionali che influenzano il benessere sociale e fisico dei dipendenti. C’è una vasta letteratura che sottolinea come ci sono numerose pratiche sul luogo di lavoro che hanno dimostrato empiricamente danni alla salute ed altri invece generato effetti di benessere sociale (Crinion, Turner, Grogan, Hanakawa, Noppeney, Devlin, Aso, Urayama, Fukuyama, Stockton, Usui, Green, & Price, 2006; Hegewisch & Gornick, 2010). Ad esempio alcune scelte nel sistema statunitense come non offrire prestazioni mediche, congedi per malattia o anche ferie pagate o pretendere ore di lavoro non pagate sono più diffuse di quanto si possa immaginare (Cappelli, 1999; Davis, 2009). Si pensi come entro il 2006, circa il 40% dei datori di lavoro statunitensi non offriva servizi sanitari assicurazione ai propri dipendenti e offriva solo circa nove giorni di ferie pagate (Ray & Schmitt, 2008) mettendo a dura prova i dipendenti e le loro famiglie (Hegewisch & Gornick, 2010). Sebbene questa discussione si sia concentrata principalmente sugli Stati Uniti, gli approcci nel gestire la forza lavoro e i rischi nonché i costi per i dipendenti sembrano diffondendosi in tutto il mondo (Howell, Baker Glyn, & Schmitt, 2007). L’instabilità lavorativa genere disagio psicologico per i dipendenti (Dooley, Catalano & Wilson, 1994; Catalano, 1991; Catalano, Novaco & McConnell, 2002; Sullivan & Von Wacther, 2009; Kivimaki, Vahtera, Pentti & Ferrie, 2000) cosi come il conflitto lavoro-famiglia aumenta il tasso di assenza dal lavoro (Jansen, Kant, Van Amelsvoort, Kristensen, Swaen, & Nijhuis, 2006), mentre altri studi mostrano che fornire un congedo di maternità prenatale riduce il tasso di parto cesareo (Tucker & Folkard, 2012). Tutti questi studi e ricerche confermano che queste scelte organizzative incidono sul benessere psicofisico sia dei loro dipendenti che delle loro famiglie (Ferraro, Pfeffer & Sutton, 2005; Pfeffer, 2010). Di sicuro l’elemento che ha ulteriormente reso complesse e condizionato le scelte organizzative è una condizione culturale volta al costrutto del “denaro” che induce gli individui ad assumere comportamenti individualistici e a distanziarsi socialmente dagli altri (Vohs, Mead e Goode, 2006). Pfeffer e DeVoe (2008) hanno riferito che il linguaggio economico ha influenzato il comportamento interpersonale, portando a porre l’accento sul superamento individuale dei bisogni sociali, a un’enfasi sulla competizione rispetto alla cooperazione, e quindi, ad una relativa trascuratezza delle conseguenze sociali a favore di quelle economiche nelle decisioni prese da attori economici e manager aziendali.
Le prove sulla connessione tra la costruzione di luoghi di lavoro confortevoli e la performance aziendale è voluminosa (Appelbaum, Bailey, Berg & Kalleberg, 2000; Becker & Huselid, 1998; Pfau & Kay, 2001). Per prendere solo alcuni esempi, una meta-analisi di 92 studi (Combs, Liu, Hall & Ketchen, 2006) ha rilevato che esisteva una correlazione statisticamente significativa tra pratiche di lavoro confortevoli, volte a costruire ambienti di lavoro confortevoli, e alte prestazioni individuali ed organizzative. Uno studio dei dati riferito ad panel di 109 aziende manifatturiere italiane (Colombo, Delmastro & Rabbiosi, 2007) hanno scoperto che l’adozione di modalità di lavoro in ambienti lavorativi sereni ha portato a prestazioni migliori. Whitener (2001) in uno studio che esplora il motivo per cui questi effetti potrebbero reggere, studiando quasi 1700 dipendenti di 180 cooperative di credito, ha trovato che le pratiche di gestione delle risorse umane ad alto impegno organizzativo e gestionale aumentano la fiducia e l’impegno dei dipendenti. Questi studi pertanto confermano che la capacità di creare livelli più elevati di coinvolgimento dei dipendenti in un luogo di lavoro con un buon clima organizzativo genera maggiore impegno.
Il genere è una questione di equità o di eguaglianza?
La diversità di genere sul posto di lavoro tra pari e la gestione tra i dipendenti di sesso maschile e femminile sono state ampiamente dibattute in letteratura. La diversità di genere influenza le aspirazioni manageriali e le politiche di gestione di uomini e donne. Ma il genere è affrontata come una questione di equità o uguaglianza? Per rispondere a questa domanda riportiamo la definizione del filone di studi sul gender equity e gender equality che evidenzia una sottile differenza.
Mentre il concetto di equità di genere (gender equity) si riferisce a “equità di trattamento per donne e uomini, secondo le loro rispettive esigenze. Ciò può includere la parità di trattamento o un trattamento diverso ma considerato equivalente in termini di diritti, benefici, obblighi e opportunità” (International Labour Office [ILO], 2000). L’equità, pertanto, viene utilizzata ad esempio con riferimento alla pari distribuzione delle risorse in base alle esigenze dei diversi gruppi di persone e rispetto ai loro bisogni che possono essere diversi per le donne e uomini, ragazzi e ragazze.
Distinto e diverso è il concetto di uguaglianza di genere (gender equality) che è l’effettiva uguaglianza tra uomini e donne, che implica il concetto che tutti gli esseri umani, uomini e donne, sono liberi di sviluppare le proprie capacità personali e di fare scelte senza i limiti posti da visioni stereotipate, rigidi ruoli di genere e pregiudizi. L’uguaglianza di genere significa che i diversi comportamenti, aspirazioni e bisogni di donne e uomini sono considerati, valutati e favoriti allo stesso modo. Ciò non significa che donne e uomini debbano diventare uguali, ma che i loro diritti, responsabilità e opportunità non dipenderanno dal fatto che siano nati maschio o femmina (International Labour Office [ILO], 2000). Il concetto di uguaglianza di genere è da tempo stabilito come la formulazione preferita per pari diritti, prospettive di vita, opportunità e potere per donne e uomini, ragazze e ragazzi. In ambito internazionale così come in contesti nazionali la parità di genere è un concetto strettamente connesso all’agenda dei diritti umani. È anche usato per etichettare l’obiettivo nella lotta per i diritti delle donne, usato come criterio guida del movimento donne in tutto il mondo, ne copre l’emancipazione delle donne e la non discriminazione e la parità di diritti indipendentemente dal genere. Esso punta verso il cambiamento delle relazioni di potere basate sul genere in tutti i settori della società, privati e pubblici.
La scelta di adottare un criterio di equità e/o uguaglianza induce ad affrontare il tema del gender con una sensibilità ed un approccio differente pur sempre nell’ottica di valorizzare e affrontare la diversità tra uomini e donne condizionando le scelte delle politiche di gestione delle risorse umane nelle aziende.
La ricerca della “sostenibilità di genere”
Il lavoro rappresenta una prima review della letteratura nazionale e internazionale sui temi del Gender Diversity e sostenibilità sociale. L’analisi del framework consente poi di individuare delle pratiche e degli strumenti di intervento a favore di un cambiamento organizzativo orientato all’innovazione e alla sostenibilità in un’ottica di responsabilità sociale; nonché modelli culturali per diffondere una cultura che sia gender-equality che gender-equity inclusiva e sostenibile.
Lo studio parte da un’analisi di 74 articoli scientifici che sono stati selezionati e suddivisi in base a comuni aree tematiche.
Le aree tematiche individuate dagli autori sono 5: 1. Gender equity nelle posizioni di management (Work-life balance; Azioni a sostegno delle carriere femminili); 2. Gender equality, (segregazioni di carriera, pari opportunità, barriere e strategie, pari opportunità nel pubblico impiego); 3. Gender gap (donne nei Board, performance aziendali e stili manageriali); 4. Gender Diversity managemnt (leadership, conflitto e soft skill); 5. Sostenibilità sociale.
Tab. 1.1 Review della letteratura
Cluster | N. articoli | Autori |
Gender Equity | 17 | 1. Biancheri, R. (2006); 2. Carbone, D., & Dagnes, J. (2019); 3. Devicienti, F., Grinza, E., Manello, A., & Vannoni, D. (2018); 4. Faisal, F. (2010); 5. Huse, M. & Seierstad, C. (2013); 6. Huse, M., Nielsen, S.T., & Hagen I.M. (2009); 7. Iannotta, M., Gatti, M., & Huse, M. (2015); 8. Izquierdo, M., Huse, M., & Möltner, H. (2016); 9. Kanadl, S.B., Torchia, M., & Gabaldon, P. (2017); 10. Nielsen, S., & Huse, M. (2010); 11. Pfeffer, J., & DeVoe, S.E. (2008); 12. Rigolini, A., & Huse, M. (2019); 13. Rizza, R., Sansavini, M. (2010); 14. Seierstad, C., Warner-Søderholm, G., Torchia, M., & Huse, M. (2017); 15. Torchia, M., Calabrò, A., & Huse, M. (2011); 16. Torchia, M., Calabrò, A., Huse, M., & Brogi, M. (2010); |
Gender equality | 15 | 1. Charles, M. (2003); 2. Diehl, A.B. & Dzubinski, L.M. (2016); 3. Huse, M., & Solberg, A.G. (2006); 4. Jansen, N.W.H., Kant, IJ., Van Amelsvoort, L.G.P…, Kristensen, T.S., Swaen, G.M.H., & Nijhuis, F.J.N. (2006); 5. Johns, M.L. (2013); 6. Kremer, J., Hallmark, A., Cleland, J., Ross, V., Duncan, J., Lindsay, B., & Berwick, S. (1996); 7. Mussolino, D., Cicellin, M., Pezzillo Iacono, M., Consiglio, S., & Martinez, M. (2019); 8. Nielsen, S., & Huse, M. (2010); 9. Nielsen, V.L., & Madsen, M.B. (2019); 10. Oakley, J.G. (2000); 11. Romano, A., & Petrucciuoli, R. (2020); 12. Smith, A.E. (2015); 13. Strachan, G., Adikaram, A., & Kailasapathy, P. (2015); 14. Trauth, E. (2011); 15. Villa, P. (2010). |
Gender gap | 15 | 1. Aghina, W., Ahlback, K., De Smet, A., Lackey, G., Lurie, M., Muraka, M., & Handscomb, C. (2018); 2. Alerasoul, S.A., Afeltra, G., Hakala, H., Minelli, E., & Strozzi, F. (2021); 3. Burton, R., Obel, B., Hakonisson, D., & Martinez, M. (2020); 4. Capezio, A.I., & Mavisakalyan, A. (2016); 5. Caporarello, L., Di Martino, B., & Martinez, M. (2014); 6. Curley, M., & Salmelin, B. (2014); 7. Frigotto, M.L., & Della Valle, N. (2018); 8. Gheradi, S. & Murgia, A. (2014); 9. Glass, C., & Cook, A. (2018); 10. Gull, A.A., Nekhili, M., Nagati, H., & Chtioui, T. (2018); 11. Jonsen, K., Maznevski, M.L., & Schneider, S.C. (2010); 12. Ome, B.N. (2013); 13. Sumendra, S. (2016); 14. Tacheva, S., & Huse, M. (2006); 15. Torchiaa, M., Calabròb, A., Gabaldonc, P., & Kanadli, S.B. (2018). |
Gender diversity management | 19 | 1. Agyemang-Mintah, P., & Schadewitz, H. (2019); 2. Anderson, K.J., & Leaper, C. (1998); 3. Baillien, E., Bollen, K., Euwema, M., & De Witte, H. (2014); 4. Blackburn, C.H., Martin, B.N., & Hutchinson, S. (2006); 5. Chesbrough, H., & Bogers, M. (2014); 6. Clarke, M. (2011); 7. De Dreu, C.K.W., & Gelfand, M.J. (2007); 8. Einarsen, S., Skogstad, A., Rørvik, E., Bjørke Lande, & Nielsen, M.B. (2016); 9. Fida, R., Paciello, M., Tramontano, C., Fonttaine, R.G., Barbaranelli, C., & Farnese, M.L. (2015); 10. Gardenswartz, L., Cherbosque, J., & Rowe, A. (2010); 11. Kapoor, J. (2021); 12. Lee, H.W., Choi, J.N., & Kim, S. (2017); 13. Lyu, W., & Liu, J. (2021); 14. Marcenar-Gutierrez, O., Lopez-Agudo, L.A., & Henriques, C.O. (2021); 15. Rashman, L., & Hartley, J. (2003); 16. Torchia, M., Calabro’, A., & Morner, M. (2015); 17. Trickey, D. (2004); 18. Vardi, Y., & Weitz, E. (2016); 19. Wise, L.R. & Tschirhart, M. (2018). |
Sostenibilità sociale | 8 | 1. Bogers, M., Chesbrough, H., & Moedas (2018); 2. Di Vaio, A., Palladino, R., Hassan, R., & Escobar, O. (2020); 3. Forster, N., Ebrahim, A.A.A., & Ibrahim, A. (2013); 4. Frigotto, M.L. (2018); 5. Kong, F., Huang, W., Tsai, C., Huang, W., & De la Cruz, S. (2018); 6. Lee, S.M., & Trimi, S. (2020); 7. Melluso, N., Bonaccorsi, A., Chiariello, F., & Fanton, G. (2020); 8. Terjesen, S., Sealy, R., & Singh, V. (2009); |
Inoltre, dalla review della letteratura gli autori hanno definito un modello teorico di seguito rappresentato.
Gender equity
Dalla letteratura analizzata e collocata nell’area tematica del gender equity si evince che per promuovere le pari opportunità è necessario adottare politiche che in primis rilevino e dichiarino la disparità di trattamento uomo/donna e politiche che contrastino stereotipi di genere (Carbone & Dagnes, 2019).
La percezione e l’interpretazione delle barriere varia a seconda dell’esperienza soggettiva di ciascuna donna; esse vengono filtrate attraverso influenze individuali, ambientali e d’identità che producono una visione differente e comportano di conseguenza una diversa strategia (informale) per superale. I settori high tech presentano forti barriere, ritenuti ambienti prettamente maschili, con discriminazione di genere legate a questa visione tipicamente maschilista della professionalità che sottostimano le competenze tecniche del management femminile (Iannotta, Gatti, & Huse, 2015).
All’interno del gender equity gli autori sottolineano come il lavorare sul costrutto work-life balance è senza dubbio uno dei fattori chiave da tenere in considerazione quando si vogliono implementare politiche sociali che promuovono le pari opportunità e di rimozione delle disuguaglianze. C’è necessità di non dare per scontato la conciliazione tra la dimensione lavoro e la dimensione familiare della persona per il suo benessere di vita (Bianchieri, 2006; Romano & Petruccioli, 2020; Tacheva & Huse, 2006). Le donne essendo culturalmente identificate come il fulcro della famiglia, devono poter essere messe nella condizione di gestire la famiglia e lavoro (Rizza & Sansavini, 2010) con politiche di work-life balance. Alcuni autori (De Dreu & Gelfand, 2014; Pfeffer & DeVoe, 2008) paradossalmente sostengono che le politiche di work-life balance hanno intrinsecamente aspetti velatamente discriminatori che dipendono dalla loro stessa natura, e che quindi anziché risolvere il problema lavoro familiare e professionale (work-life conflict) finiscono di acuirlo (De Dreu & Gelfand, 2014; Pfeffer & DeVoe, 2008). Dallo studio condotto da Faisal (2010) si evince un diffuso malcontento tra le donne verso l’efficienza delle politiche di work-life conflict e work-life balance determinando l’effetto di ‘’ostilità orizzontale’’ poiché questa insoddisfazione incide negativamente sulla presenza rosa in posizioni apicali (Huse & Seierstad, 2013). Per ridurre il problema Fisal individua 4 azioni strategiche: in primis la creazione di linee guida per formulare politiche e azioni di gender equity che tengano conto delle caratteristiche delle diverse tipologie organizzative e che quindi non siano generali o universali; la diffusione di opportunità di carriera e incoraggiamento alle donne per accedervi; percorsi di sviluppo professionale volte a sensibilizzazione di genere e di riflessione delle pratiche distorte; supporto alla professionalizzazione delle donne.
Gender equality
La letteratura inserita nell’area tematica del gender equality sottolinea l’uguaglianza tra uomini e donne nelle aziende rispetto alle stesse opportunità offerte e viene affrontato in gran parte della letteratura con il costrutto Glass Ceiling s’intende il processo ostile che le donne subiscono per accedere a posizioni di governance e di leadership, che risulta più facile nelle organizzazioni con una rilevante prevalenza femminile e quando a poter decidere chi eleggere sono altre donne (Smith, 2015). Pur avendo un percorso formativo brillante le donne continuano ad avere meno possibilità di accesso a posizioni lavorative stabili. Seppure la presenza del sesso femminile in settori tendenzialmente considerati maschili stia crescendo non c’è una riduzione nella difficoltà nell’inserimento né un miglioramento nella qualità del lavoro offerto alle donne che comporta un tasso di precarizzazione che a sua volta incide sullo stress work-life balance (Villa, 2010; Jansen, Kant, Van Amelsvoort, Kristensen, Swaen, & Nijhuis, 2006). Tra le barriere universali che accomunano tutti i settori e contesti organizzativi da tenere in considerazione vi sono quelle di tipo organizzativo quali divisone del lavoro basate sul genere e non sulle competenze, sistemi premianti e incentivanti impari, mancanza di impegno istituzionale per garantire un sistema di welfare aziendale e turnover sfavorevoli. Non mancano quelle di tipo sociale, assenza di mentoring, stress da conflitto lavoro-famiglia, network informali diffusione di credenze stereotipate (Trauth, 2011).
Inoltre, vengono analizzate le segregazioni verticali: sotto rappresentanza femminile nei livelli apicali, posizioni di top management e governance; e le segregazioni orizzontali: discriminazioni delle donne, disparità salariale, gap nel trattamento, esposizione delle donne a lavori precari (Strachan, Adikaram & Kailasapathy, 2015).
Charles (2003) parla di distorsione culturale secondo cui alle donne sono attribuite attività afferenti ai servizi, relazioni sociali e cura della persona poiché si registra un maggior numero di donne in posizioni apicali nelle aziende che operano nei medesimi settori (moda, prodotti della persona consulenza bancaria e finanziaria piuttosto che in settori high tech, delle costruzioni, trasporto e automotive).
Gender gap
Nell’area tematica del gender gap la letteratura affronta la numerosità di donne nei board e le quote rosa. Diverse evidenze empiriche hanno fatto emergere una relazione positiva tra successo del business e presenza di donne nel board societario (Huse, Nielsen & Hagen, 2009). La presenza femminile nei CDA e soprattutto in veste di amministratrici delegate impatta sulle politiche e sulle performance aziendali rendendole più solide e profittevoli (Glass & Cook, 2018); è confermata la tesi secondo la quale l’eterogeneità nei gruppi dirigenziali sia funzionale al raggiungimento di risultati positivi nonché propedeutica ad incrementare il numero di donne nei CDA (Sumendra, 2016). L’effetto benefico della presenza delle quote rosa nei CDA è direttamente connesso anche a riduzione di frodi, le donne tendono ad assumere un comportamento più diligente nelle pratiche di monitoraggio che si traduce in un ambiente più sano e trasparente e riduce le frodi da tutti gli stakeholder interni ed esterni all’organizzazione (Capezio & Mavisakalyan, 2016).
Gender Diversity managemnt
Nell’area tematica del gender diversity management Carbone e Dagnes (2019) sottolineano tra gli aspetti di gestione della diversità di genere due suggerimenti definiti politiche antidiscriminatorie e paritarie tese a ripristinare un equilibrio di genere: le disposizioni soft low ossia codici comportamentali che contengono delle mere raccomandazioni a favore del riequilibrio di genere, prive di efficacia vincolante; e le norme hard low che al contrario sono caratterizzate dall’obbligatorietà e sono tese a garantire una tutela legale più forte alla parte debole ossia al genere meno rappresentato. Tra le azioni a sostegno delle carriere femminili si annovera il contributo di Clarke (2011) con il suo programma HIWL rivolto a donne manager con spiccate capacità di leadership, basato su un percorso con varie attività quali coaching, workshop, case-study, per potenziare le componenti utili al percorso di carriera rivolto alla de-segregazione verticale.
Sostenibilità sociale
I contributi analizzati cercano di trovare un legame tra sostenibilità sociale e gender. Il tema delle strategie da utilizzare nell’ottica della sostenibilità nella gestione del genere femminile nell’azienda, intese come l’insieme di pratiche e modelli, partono da evidenze empiriche e possono essere delle buone linee guida verso un processo di transizione aziendale sostenibile. Per Terjesen, Sealy e Singh (2009) si tratta di una sorta di groupage di best practices universali che possono essere utilizzate anche in setting e contesti diversi come il gender role modeling (donne leader fungono da mentori ad altre donne) diversity supports (supporto alle carriere) gender avoidance (accesso a tutti alla governance) (Forster, Ebrahim, & Ibrahim, 2013).
Conclusione
Dall’analisi della letteratura svolta dagli autori si consolida l’idea che la costruzione di un’azienda sostenibile dovrebbe considerare anche l’essere umano come la dimensioni fisiche delle azioni aziendali. Bisogna essere altrettanto preoccupati degli effetti organizzativi sul sistema sociale dell’azienda come lo siamo rispetto all’impatto sull’ambiente fisico. La review della letteratura vuole produrre una prima riflessione utile al cambiamento verso cui si accingono le organizzazioni, un cambiamento culturale prima ancora che strutturale, un processo di civilizzazione inclusiva della società. In particolare, questo lavoro vuole avere due implicazioni: quella scientifica di suddivisione i vari contributi per aree tematiche e quella organizzativa ossia individuare pratiche e strumenti d’intervento utili ad orientare le azioni del management verso un processo di riorganizzazione sostenibile.
Purtroppo, i dati allarmanti mettono in evidenza che la realtà dei fatti è ben lontana da quanto le organizzazioni affermano di sé stesse, la loro cultura è ancora poco verso l’equità di genere anzi sono ancora oggi influenzati non solo dal genere ma dall’etnia, nazionalità, religione e altri aspetti afferenti al diversity che richiedono un intervento diretto e mirato poiché non più ammesse per le loro ripercussioni negative sulla sopravvivenza della stessa organizzazione.
Bisognerebbe lavorare su quegli stereotipi culturali che mettono l’efficienza economica prima di ogni altra cosa compreso il benessere dei dipendenti, lasciando poca visibilità per gli effetti dannosi delle varie pratiche gestionali non inclusive.
Ad oggi sembra essere un dibattito in corso che sembra raccogliere solo idee, confronti e controversie nell’idea di portare a compimento le Raccomandazione del Consiglio sulla Parità di Genere nella Vita Pubblica (2015) spinte da una necessaria volontà europeista. Le raccomandazioni sollecitano gli aderenti affinché rafforzino i meccanismi di accountability e controllo sulla parità di genere e sulle iniziative per includere la prospettiva di genere, all’interno delle istituzioni governative e tra di esse.
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